ἀταραξία: Le storie da “altrove” di Fabio Grassi.

Le soluzioni immaginarie sono il vivere e il cessare di vivere.
L'esistenza è altrove.”
(André Breton)
A cura di Giorgio Barassi
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E gli alberi divennero linee, spazi, colore. E lo spazio ed il colore insieme andarono altrove per tornare sulla tela.
Potremmo riassumere così il recente lavoro di Fabio Grassi, artista che merita ogni attenzione già solo per essere un frequentatore assiduo della ricerca in pittura da più di cinquanta anni. I due concetti primari della sua storia di artista sono quello di Spazio, con le sue infinite ed imprevedibili pieghe, preso di mira da sempre dall’artista massese, e Altrove, realtà distaccata dal mondo quotidiano, ma ben salda nel mondo terreno.
Nei recenti dipinti, Grassi fa riemergere quella propensione per il racconto informale, a lui congeniale ancor più di quei paesaggi che lo resero famoso. Eppure, già in quei paesaggi regnava un palpabile senso di indagine e di mistero, fatto per metà dallo stupore di vedere e rappresentare l’insolito (i suoi erano paesaggi, ma sapevano di metafisica e di non-comune) e per metà di incanto da ἀταραξία, cioè quell’atteggiamento che fu anche nella filosofia epicurea, stoica e scettica della Grecia di Democrito e poi ben oltre. Fu Marco Aurelio a tradurre quel termine, che letteralmente è “assenza di agitazione” in Tranquillitas. E già qui le cose si mettono meglio, tutto è più chiaro già dal vocabolo latino. Grassi è un impenitente aspirante atarassico. Per lui la tranquillità, che dalle parti della Versilia è mediata dalle cime delle Apuane che guardano il mare, è una continua aspirazione, raggiunta il giusto, dopo anni di onorato servizio in un mondo, quello dell’arte, popolato da agitati per definizione o per contratto. Già allora, nei dipinti di quelle colline mai da cartolina e mai usuali, appariva quel bisogno di staccare e riflettere, godendo di uno spazio consono, invitante, che irrimediabilmente finiva nella tela.
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L’Altrove di Grassi è un posto comune, ordinario, possibile.
Ma è quello a cui, in fondo, aspiriamo tutti. È la sua casa col bel giardino, il suo studio dalle pareti antiche, sono le mille idee divenute segno, colore, traccia e consistenza di una vita dedicata alla pittura ed al disegno. E proprio dal disegno, una passione mai sopita in lui, che paiono prendere le mosse le composizioni ultime, in cui il colore viaggia a braccetto del segno e nessuno dei due elementi sopravanza l’altro, per cui la gradevolezza e l’equilibrio sono rispettati da un canto di segni e tinte che raccontano una capacità di indagine e ricerca davvero notevoli. Grassi è un artista che dà sempre il massimo, ed il suo impegno è tanto più intenso quanto più ignoto è il destino che quella indagine affronterà, perché è nell’anima dell’artista che si annida il dubbio di non piacere. Dubbio reso evanescente da anni in cui la matita ha lavorato su carte pregiate, rendendoci finalmente enormi disegni fino ai due metri e mezzo per tre metri e mezzo, come quello esposto nella personale tenuta a Massa nel bellissimo Palazzo Malaspina ad ottobre del 2022. Disegno: matita e carta. I più pignoli direbbero grafite e carta pregiata ma in sostanza quella infinita indagine, quella fatica lenticolare che ha per protagonista lo spazio, si muove agevolmente dentro l’altrove che Grassi cerca e trova. Si, i disegni a matita di Grassi sono lo scoglio dell’agevole approdo, e sono anche il blocco di partenza scelto molti anni fa, quando contava soprattutto esercitarsi. Sempre, comunque.
Nei lavori nati ufficialmente nell’estate 2023, ma pensati con calma in tanto tempo, arriva quella generosità gestuale che in Grassi non è mai mancata, ed affiora una esigenza del racconto diretto, una espressione dell’anima che non ammette mediazioni e non concede correzioni di sorta.
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L’Altrove, in fondo, è sì un luogo mentale anelato, ma è anche un ideale posizione che costringe il pittore ad un distacco ariostesco, che non nega il coinvolgimento evidente e però sottolinea una maturità espressiva completa, solida. La stessa tecnica risuona di esperienze pregresse e chiama a raccolta il colore corposo, la carta resistente, qualche tavola, le tele scelte con cura. Deve starci dentro una materia lavorata di getto e di perizia, devono risuonare i toni dei gialli e dei rossi ac- cesi o il bianco abbacinante, mentre il nero, la tinta scura e terrena, fa da filo conduttore ed esprime proprio l’agio di starsene in quell’anelato luogo di beato isolamento volontario. Per i “classificatori” ad ogni costo, Grassi è uno che si esprime nell’informale più intenso. Per chi, come noi, lo conosce da anni, è un artista che sa e può esprimersi come gli pare, dopo una vita spesa a provare e riprovare le soluzioni, scegliendo le migliori sempre e senza dubbi. Il tracciato paesaggistico, e va ripetuto che quello non era solo paesaggio, il percorso di espressioni che hanno lo Spazio come protagonista, i disegni ed oggi queste azzeccate opere sono un breve riassunto di una esperienza affinata e vissuta senza tregua, a caccia di una espressione che scavalca quel rigore e quella garbatezza nei modi che descrivono l’uomo. Nella sua vita di artista, Fabio Grassi non ha mai usato toni alti, ma ora usa colori e segni avvisabili, perentori, più marcati. A chi dovrebbe essere concesso, se non a quelli che, come lui, calcano le scene della pittura da tanto tempo?
Siamo certi delle buone fortune che queste ultime opere raccoglieranno, e chi segue la rubrica Laboratorio Acca in tivù lo ha già dichiarato, mostrando di gradire anche questa ultima (ma non ultima) operazione artistica che fa vedere e capire quel che accade quando, in un posto tanto segreto quanto noto, come lo studio affacciato su un giardino di alberi e piante che si godono il vento dal mare e le lame delle folate improvvise dalla montagna, Grassi si gode quell’ Altrove in cui si lancia volentieri. Dopotutto il chiasso delle chiacchiere non gli è mai piaciuto.