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Alessio De' Fiori (Al secolo Alessio Schiavon)

a cura di Giorgio Barassi
Potranno tagliare tutti i fiori ma non fermeranno mai la primavera. (Pablo Neruda)

Non è dato sapere esattamente come mai abbia rivolto la sua attenzione al mondo dei fiori, ma lo si può supporre argomentando su basi verosimili. Dialogare con Alessio Schiavon è un piacere, levigato dalle sue intonazioni venete, da quei termini, delicati o grevi, che non dimentichi perché hanno provocato la giusta risata o il gustoso apprezzamento. A condizione che si parli di qualunque cosa fuorché della ragione esatta che ha scatenato quel suo esprimersi con le corolle dall’aspetto squillante o a volte pallido, fiori che attirano lo sguardo e portano a tentare di capire quale spunto sia stato il vero, reale innesco di un racconto dalle mille sfumature. Non parla volentieri dei fatti suoi, Alessio. Perché la riservatezza è in lui pari alla simpatia. Eppure è facile intuire che da storie di intime sofferenze nascono tele fiammeggianti di rosso o accese di azzurri potenti. In questo, Schiavon è pittore che preferisce esprimersi con la pittura e dentro la pittura, senza scoprirsi o illustrare a parole. In questo è rispettabilmente all’antica. La vicenda che lo lega alla pittura è la consapevolezza del non avere la grinta dell’arrivista, è l’abitudine a lavorare sin da ragazzino con la sola forza di cui dispone. Mai un lamento, mai una polemica.
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Di questi tempi di lagne e tormenti è davvero roba rara. Schiavon ha la fortuna di abitare in una parte del Veneto ben vicina alla dotta Padova, ma sistemata tra i campi che regalano silenzi notturni impareggiabili, punteggiati da piccoli abitati in cui tutti si conoscono, costruiti con pazienza e sapienza, da cui svettano, poderosi ed improvvisi, i campanili che sembrano tentare di bucare il cielo nei giorni di nebbia e sembrano far parte da sempre di un paesaggio miniurbano, delicato e silenzioso quando le macchine e i mezzi agricoli lasciano in pace le orecchie. Questo conta molto per la sua creatività, che esprime nel luminoso atelier di Mestrino, un luogo che per lui è uguale alla stanza dei giochi per un bimbo. Sperimenta, prova, riprova ed elabora con una pazienza che gli permette di spaziare, oggi, sui dati raccolti dalla sua prima pittura, fatta di improvvisazioni informali e getto di colori che, in fondo, sono le urla che non ha mai emesso, per discrezione e decenza. Ora che la sua espressione è matura, i fiori rimangono protagonisti, ma vengono via via sottoposti a intrecci, spartizione di spazi sulla tela, sfumature e colorazioni nuove. Se nel recente passato ha lavorato alla estensione ed alla riduzione dello spazio occupato dalle sue ghirlande, oggi indugia sul presentarle in verticale, in diagonale, su misure mai sperimentate in precedenza e con delle giustapposizioni nuove, segno del possesso reale del tema floreale, che gli è valso, dalle domeniche televisive di Laboratorio Acca, il soprannome di Alessio de’ Fiori, attinto dalla storia della pittura barocca e da quel Mario Nuzzi che divenne Mario de’ Fiori per le corti e la nobiltà romana.
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Nuzzi era nipote del pittore caravaggesco Tommaso Salini, e suo padre era un accorto  floricultore. Dalla osservazione dei fiori della serra paterna, Mario de’ Fiori iniziò le sue sperimentazioni per diventare poi l’artista dei quadri ambiti dai Barberini, dai Chigi e dai Colonna. Ad Alessio è riservato tutt’altro tragitto, ma il parallelo non è fuorviante, se si pensa che i suoi quadri, specialmente di grandi dimensioni, sono già da tempo in case di amici, collezionisti ed estimatori che lo seguono e ne apprezzano le variazioni non tanto nello stile quanto nel modo di porre la pittura. Ultimamente sono comparsi degli ovali, evocativi proprio di epoche lontane, aggiunte di uccelli in volo sui prati punteggiati dai fiori, presenze animalesche che sbucano da cespugli infiorati alla sua maniera. In fondo lo si può giudicare classico e figurativo, ma avvicinandosi alle sue tele non sfuggono citazioni di costruzione moderna del dipingere, accenni al dripping ed alle mescole ardite di cromìe, squadrature della scena del dipinto che rispondono a criteri assolutamente contemporanei ed addirittura cornici invase dalla pittura. È così che Alessio evoca ed omaggia il talento di un artista da lui sempre apprezzato: nientemeno che Mario Schifano, vale a dire l’esatto contrario della discrezione, pittorica e non, il genio sregolato che ha fatto della sua arte una pietra miliare per dividere davvero in due il secolo ventesimo.
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Di Schifano, Alessio apprezza tutto. Si lascia trasportare dalla facilità esecutiva con cui il Puma (così lo chiamò chi ne aveva intuito la geniale ferinità dagli scatti improvvisi) gettava il colore, dai suoi temi, dalla sua storia. È l’eterna vicenda del dualismo compensativo. Schifano, sfrontato, geniale e senza paure convenzionali, attrae Schiavon, silenzioso e garbato pittore ispirato dalla natura ma narratore di vicende umane, le sue, sulle quali sa sorridere avendole accettate con fierezza e consapevolezza. Alessio è lo scolaretto garbato che guarda con ammirazione allo sfrontato compagno di banco, quello che dice quel che pensa senza timori, e trova da lui la carica giusta per distendere i suoi temi più amati. Da questa sua autentica passione per l’artista Pop, nacque l’idea di una mostra nella città di Padova, rinviata due volte per le note vicende legate allo stramaledetto virus. Ma conoscendolo, questa difficoltà lo rinforza e lo renderà ancor più determinato per presentarsi alla sua gente con una rilettura proprio di questi ultimi tempi, sfortunati e minacciosi, ricco di nuove elaborazioni. A rivedere i suoi quadri degli anni Novanta, quella furia costruttrice che poi divenne serena costruzione floreale è un grido, una stoccata visibile e netta che ci presentava uno Schiavon battagliero e ricco di energie. Oggi le energie non gli mancano e il battagliero soldato è diventato arguto Generale, pronto a disporre i suoi fiori come in un campo di battaglia, alla sola ricerca della serenità, che arriva all’occhio con evidenza. Alessio Schiavon non racconta dunque solo la osservazione della natura, ma proprio nella elaborazione dei suoi nuovi dipinti si legge una matura consapevolezza di sé e delle molte combinazioni adeguate a raccontare un inguaribile e silenzioso romantico dall’animo gentile.
Giorgio Barassi