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De Chirico e la metafisica

Palazzo BLU, Pisa. Fino all’11 luglio 2021.
a cura di Silvana Gatti.
“L’opera d’arte metafisica è quanto all’aspetto serena; dà però l’impressione che qualcosa di nuovo debba accadere in quella stessa serenità e che altri segni, oltre a quelli già palesi, debbano subentrare sul quadrato della tela.
Tale è il sintomo rivelatore della profondità abitata”.
(Giorgio De Chirico, Sull’arte metafisica, 1919)
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Pisa, nelle sale di Palazzo Blu, ospita fino all’11 luglio 2021 la mostra antologica De Chirico e la Metafisica. Rassegna che non poteva essere più azzeccata in questo periodo di pandemia, in cui le famose Piazze d’Italia del genio dechirichiano sembrano quasi preannunciare i giorni di chiusura tipici dei nostri giorni. Piazze vuote, atmosfere sospese, prospettive architettoniche farcite da manichini che paiono rappresentare le figure che incontriamo per strada in questi giorni, anime poco riconoscibili dietro le mascherine che da imposizione forzata non riescono a diventare un’abitudine. Perché gli artisti, a volte, sono come veggenti, e riescono ad immaginare situazioni che da improbabili diventano realistiche. Questo è De Chirico, “Il pensiero dipinto”, per dirlo con le parole di Magritte.
Giorgio de Chirico, figlio di un ingegnere ferroviario italiano in Grecia per lavoro, nasce a Volos nel 1888. Dopo la dipartita del padre si trasferisce a Milano e quindi a Firenze con la madre e il fratello, ai quali resterà legato per tutta la vita. Nel 1910 si trasferisce a Monaco dove frequenta l’Accademia di Belle Arti, entrando in contatto con la filosofia di Nietzsche, Schopenhauer e con la pittura di Arnold Böcklin. Nel 1911 raggiunge a Parigi il fratello ed espone al Salon d’Automne e al Salon des Indépendants. Rientrato in Italia allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, viene richiamato alle armi e ricoverato all’ospedale militare di Ferrara dove conosce Carlo Carrà. I due artisti, così, fondano la pittura metafisica. Nel 1924 torna a Parigi dove frequenta il gruppo dei surrealisti. In seguito, dopo un biennio passato a New York e un passaggio a Firenze, si ferma a Roma, dove vive fino alla morte avvenuta nel 1976.
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Nel 1918 scriveva: “L’opera d’arte metafisica è quanto all’aspetto serena; dà però l’impressione che qualcosa di nuovo debba accadere in quella stessa serenità e che altri segni, oltre a quelli già palesi, debbano subentrare sul quadrato della tela. Tale è il sintomo della profondità abitata. Così la superficie piatta d’un oceano perfettamente calmo ci inquieta non tanto per l’idea della distanza chilometrica che sta tra noi e il suo fondo quanto per tutto lo sconosciuto che si cela in quel fondo”. (Valori Plastici, aprile-maggio 1919).
De Chirico, padre della Metafisica dal 1910, ha dato vita, in periodi diversi, alle stagioni della cosiddetta “seconda Metafisica” e della “Neo- metafisica”, rimaste sottovalutate grazie ad un pregiudizio alimentato dal poeta André Breton - autore del Manifesto del Surrealismo - secondo il quale una precoce senescenza avrebbe colpito l’artista dopo le sue prime e geniali opere metafisiche. Fortunatamente questo pregiudizio viene meno nei primi anni Settanta, quando una retrospettiva di De Chirico a Palazzo Reale a Milano rivaluta criticamente la sua opera, allontanandolo dal ruolo circoscritto di precursore del Surrealismo.
Fulcro di questa mostra è la collezione personale dell’artista, dei “De Chirico di De Chirico”, con numerose opere provenienti dalla Galleria Nazionale di Roma – donate nel 1987 dalla moglie del pittore, Isabella – e dalla Fondazione Giorgio e Isa De Chirico.
Grazie, inoltre, al supporto delle più prestigiose istituzioni nazionali d'arte moderna, come la Pinacoteca di Brera e il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (MART), il progetto presenta a Palazzo Blu una serie di assoluti capolavori.
Organizzata da Fondazione Pisa insieme con MondoMostre e curata da Saretto Cincinelli e Lorenzo Canova, con la collaborazione della Fondazione Giorgio e Isa De Chirico e de La Galleria Naziona- le d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, l’evento espositivo ha il Patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo, della Regione Toscana e del Comune di Pisa. Il catalogo della mostra è edito da Skira Editore.
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La rassegna presenta i lavori di tutta la carriera dell’artista, attraverso un percorso cronologico che partendo dalle prime opere di stampo “böckliniano” della fine del primo decennio del Novecento va agli anni Dieci della pittura Metafisica; dai capolavori del periodo “classico” dei primi anni Venti della “seconda metafisica” parigina, fino ai Bagni Misteriosi degli anni Trenta, alle ricerche sulla pittura dei grandi maestri del passato riscontrabili nelle nature morte, nei nudi e negli autoritratti, realizzati tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, approdando all’ultima fase neometafisica.
De Chirico dipinge vedute di città antiche che si sovrappongono a visioni di città moderne in cui ha vissuto, prima Volos e Atene, poi Monaco di Baviera, Milano, Firenze, Torino, Parigi, Ferrara, New York, Venezia, Roma. Sono tele in l’uomo è assente mentre rovine, archi, portici, strade, muri, edifici, torri, ciminiere, treni, statue, manichini, sradicati dal loro abituale contesto, si impongono dando alle opere un’atmosfera enigmatica.
Contrariamente al dinamismo tipico del movimento futurista, nella Metafisica si celebra l’immobilità. Caratteristiche della pittura metafisica sono le citazioni classiche che si concretizzano con forme statuarie. Un esempio potente lo ritroviamo nel dipinto Le muse inquietanti, dove De Chirico fissa per sempre una concezione del mondo e del rapporto tra l’uomo e la realtà. Il mondo, attraverso la metafora della città di Ferrara, è un insieme di elementi dominati da una fatalità illogica, un mistero che solo l’intuizione poetica può svelare.
Nonostante il dipinto sia privo di figure umane, Le Muse inquietanti sono raffigurate da manichini inanimati e composti, citazione classica che ricorda le divinità che proteggevano le arti nel mondo antico. I manichini sembrano quasi personificare artisti visionari e profetici. Nella stessa opera sono accostati il mondo classico della tradizione architettonica italiana con quello dell’industria, creando un ponte tra passato e presente ancora attuale.
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Superata l’idea di un De Chirico geniale solo nel breve periodo che va dal 1910 al 1923, la sua carriera viene rielaborata in un percorso che dagli esordi classico-romantici, ispirati da Böcklin e Klinger, conduce alla pittura metafisica, e dal periodo “neo-barocco” del dopoguerra giunge alla rivisitazione di se stesso e alle nuove ispirazioni della Neometafisica.
Il periodo neometafisico dell’artista rappresenta allo stesso tempo un ritorno e una ripartenza, una fase di nuova creatività e un riandare verso il passato, attraversando nuovi punti di vista e nuove soluzioni formali e concettuali.
In quest’ottica il periodo metafisico (il decennio 1968-1978) riveste un significato più organico rispetto al resto della carriera e - come sostiene Maurizio Calvesi - si parla di una “Metafisica continua”. In tale contesto si colloca l’inte- resse che, a partire dagli anni Sessanta, l’opera di De Chirico ha riscosso nelle giovani generazioni di artisti, attraverso gli omaggi di autori del calibro di Giulio Paolini e Andy Warhol. La mostra documenta il proliferare della visione metafisica che, ideata da De Chirico nel 1910, ha influenzato grandi artisti come Carrà, Savinio e de Pisis, ma anche di Sironi e Martini. Questi artisti, presenti in mostra grazie ad alcuni prestiti, più che formare una scuola o un movimento, hanno rielaborato in modo personale l’influenza di De Chirico che, alla metà degli anni Dieci, aveva già prodotto dei capolavori fondamentali per l’arte del Novecento, come, ad esempio le piazze d’Italia, Il Canto d’amore (1914) o Il Vaticinatore (1915).
Per ripercorrere la storia artistica di de Chirico l’esposizione toscana è articolata in sette sezioni. La prima sala accoglie gli Autoritratti. De Chirico ne ha realizzati più di cento, raffigurandosi abbigliato in modi differenti. Anche lo stile pittorico differisce da un ritratto all’altro, a sottolineare come nel caso di De Chirico si possano tracciare soltanto a grandi linee i vari periodi, in quanto varie fasi e vari stili spesso si sovrappongono e si confondono. Grande lettore di Nietzsche, de Chirico sapeva benissimo che “tutto ciò che è profondo ama la maschera” e che “ogni fregio nasconde ciò che adornando copre”. Prologo è il titolo dato alla seconda sezione, in cui è esposta l’opera Lotta di Centauri (1909), che rappresenta un duplice omaggio alla propria terra natale, la Tessaglia, mitica patria di esseri favolosi, e ad Arnold Böcklin, evocatore di atmosfere incantate e spettrali. Il primo De Chirico subisce infatti l’influenza del romantico Bocklin, affascinato dal modo in cui questi tratta i soggetti mitologici e prende così a modello le sue opere, che rielabora in chiave personale. Quest’opera si richiama alla Battaglia di Centauri del 1873 di Böcklin, interpretata da De Chirico con colori materici e cupi.
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Il percorso prosegue nella sala La metafisica e i suoi ritorni, in cui è forte la forza evocativa dell’enigma metafisico, legata a una sorta di rivelazione nella quale il mondo ci appare completamente ‘altro’, pur rimanendo se stesso. Muse inquietanti (1917) è l’opera che meglio descrive tale concetto. Sullo sfondo a destra della tela è riconoscibile il profilo del castello estense di Ferrara, mentre sulla sinistra le ciminiere non buttano fumo e non danno, pertanto, segni di vita. Al centro, sul palco, sono raffigurate delle statue manichino, e la figura inanimata sul piedistallo azzurro ha la testa rimossa appoggiata ai piedi. Il tempo è sospeso, l’unico essere umano presente nell’opera è il fruitore; la presenza/assenza di qualcuno che non si vede ma si intuisce incombe e dissemina ansia. Come non fare un parallelismo con i giorni di chiusura che stiamo vivendo? La sezione successiva, Il classicismo e l’espansione della Metafisica, documenta un mutamento artistico in de Chirico, dovuto al fatto che nel dopoguerra, in Italia, è piuttosto sentita l’esigenza della restaurazione, che porta gli artisti a ispirarsi al patrimonio artistico nazionale. Mentre a Parigi i quadri di de Chirico raccolgono il favore dei surrealisti, in Italia si studiano i maestri rinascimentali, calando le atmosfere metafisiche in nuove rivisitazioni. La Seconda Metafisica risale agli anni della controversia con i surrealisti, che non accettano l’esito delle sue nuove ricerche, mentre i critici evidenziano la rilevanza internazionale di de Chirico, affiancandolo a Picasso come protagonista dell’arte del XX secolo.
Con la sala Dal realismo al barocco riscontriamo come, all’inizio degli Anni Trenta, che vedono una crisi del mercato dell’arte in seguito al crollo di Wall Street del 1929, de Chirico continui a operare variazioni su temi dei decenni precedenti e si appassioni sempre di più allo studio della tradizione pittorica antica e al culto della “grande pittura di Tiziano, Rubens, Velasquez. Massimo Bontempelli comincia a parlare di “barocco”. Grande ammiratore di Renoir, de Chirico ne riscopre i valori antichi e dipinge una serie di nudi femminili, tra cui spicca la bellissima Bagnante coricata (Il riposo di Alcmena). Non mancano le nature morte, meglio definite da de Chirico nature silenti, con pesci e frutti accostati a templi e statue antiche.
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La mostra si conclude nella sala La Neometafisica, che descrive come la pittura metafisica giovanile sia rielaborata e contaminata dall’apparato iconografico delle sue opere degli Anni Venti e Trenta.
De Chirico rivisita in viaggi immaginari i suoi quadri giovanili e li reinterpreta. è del 1968 Il ritorno di Ulisse, che rema nel mare limitato dalle mura di una stanza arredata anche con un suo quadro appeso sulla parete di sinistra, in cui viene raffigurata una delle sue famose piazze senza figura umana. In questa fase finale della sua vita artistica l’uomo avventuroso per eccellenza, Ulisse, è come prigioniero in una stanza, prigioniero dei suoi pensieri, dei suoi sogni, la poltrona sulla sinistra invita alla sosta, al riposo, in contrasto con lo spirito dell’Ulisse esploratore che vorrebbe, ancora una volta, uscire, scappare, esplorare il mondo fuori. Come non rispecchiarci in quest’opera così bella e travolgente, catartica e attuale in questi nostri giorni di pandemia? Il viaggio intrapreso finisce con il celebre Autoritratto nudo (1945), dove un de Chirico privo di vesti sembra essersi messo a nudo, in atteggiamento disarmato di fronte al disastro della guerra, evocando l’Autoritratto come Uomo del dolore di Dùrer.
Una mostra esaustiva, che non trascura i bellissimi cavalli dechirichiani e merita senz’altro una visita, informandosi anticipatamente sui giorni di apertura visto i continui cambiamenti imposti dai vari Dpcm.