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Il Sarcofago degli sposi di Cerveteri e la tomba degli auguri di Tarquinia

di Francesco Buttarelli

Il Sarcofago degli Sposi nel suo insieme è oggi classificato come reperto archeologico della civiltà etrusca  databile tra il 520 ed il 510 a.C. Il capolavoro è conservato nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma ed è considerato come una delle opere arcaiche etrusche più celebrate e conosciute, sia per l’alta qualità artistica e sia per il numero esiguo delle sculture che la civiltà etrusca ci ha lasciato. Buttarelli apr 3 copia
Il complesso venne ritrovato, insieme ad un altro manufatto molto somigliante conservato nel Museo del Louvre, durante gli scavi effettuati nella seconda metà dell’Ottocento presso la necropoli della “Banditaccia” a Cerveteri. Il nome e l’aspetto possono trarre in inganno il visitatore, poiché il sarcofago non segue una linea tradizionale come i sarcofagi dell’antico Egitto ove le salme mummificate vi venivano adagiate. Attraverso un’indagine ravvicinata si evidenzia la presenza di una grande urna cineraria destinata a contenere i resti di due persone. Evidenti tracce di pittura dimostrano che in origine l’opera era completamente colorata. Proseguendo l’esame del complesso deduciamo che i due coniugi sembrano intenti ad un banchetto. Sdraiati e semidistesi su un “Triclinio” elegante munito di materasso coperta e cuscino. L’uomo si presenta atletico, a busto nudo e a piedi scalzi, i suoi capelli sono lunghi e la sua barba ben curata. Il braccio destro è poggiato affettuosamente sulla spalla della moglie che indossa una lunga veste ed un mantello. La donna calza eleganti scarpine a punta (le donne etrusche attribuivano molta importanza ai sandali ed alle calzature in genere, la visione di un piede femminile curato era alla base del concetto di eleganza); i suoi capelli, divisi in trecce, sono in parte coperti da un copricapo particolare chiamato “Titulus”, un berretto con orlo ripiegato.

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Le mani degli sposi sono vuote, ma sicuramente un tempo dovevano sorreggere oggetti conviviali. La parte inferiore dei corpi si presenta schiacciata e rigida così da modificare e sfalsare la simmetria nella sua composizione che vede spostato tutto il peso sulla parte destra interrompendo l’equilibrio della scena. Gli sposi sorridono ed hanno un atteggiamento naturale, domestico, e sembrano voler comunicare l’amore che li unisce. Anche la gestualità mostra un sentimento rispettoso di coppia che si coglie dalla serenità dei volti, dai gesti pacati e dal particolare intreccio delle mani; tutto ciò grazie all’immenso talento dell’artista, capace di cogliere un intero scrigno di sentimenti facendolo giungere sino a noi.

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La Tomba degli Auguri di Tarquinia rappresenta un ciclo pittorico che unisce il rituale funebre con giochi sportivi. La decorazione parietale fu realizzata attraverso un affresco da un pittore di scuola greca tra il 540 ed il 530 a.C. Il complesso può essere annoverato nell’ambito del pensiero culturale che realizzò “La Tomba dei Giocolieri e la Tomba delle Olimpiadi”. Le pareti della tomba illustrano scene tratte dalla celebrazione di giochi funebri organizzati secondo l’usanza etrusca in onore del defunto.

L’autore dipinse le figure seguendo la linea precisa dell’anatomia dei corpi. Sulla parete di fondo è presente la porta a due battenti, simbolo del passaggio dal mondo dei vivi al luogo dei morti. Sulla parete destra è ritratto un uomo dalla veste purpurea, in rappresentanza del mondo politico e giuridico, il suo sguardo è rivolto alla porta dell’Ade e sembra voler salutare il viaggio del defunto. Nella stessa parete è dipinto un giudice di gara impegnato a controllare due lottatori che gareggiano.

L’ultimo affresco è dominato da una lotta tra belve feroci ed un antesignano dei gladiatori ; “Il Phersu”.

Un altro Phersu, sulla parete di sinistra è intento a danzare, mentre altri personaggi incappucciati risultano non identificabili a causa dell’incuria del tempo.

La tomba, nell’atmosfera magica che avvolge il visitatore, sembra anticipare temi di narrazione temporali che saranno evidenziati nell’arte dei secoli successivi.