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Kakemono

Cinque secoli di pittura giapponese. La Collezione Perino.
Fino al 25 aprile 2022 al MAO (Museo d’arte orientale) di Torino.
a cura di Silvana Gatti.

Al Museo d’arte orientale di Torino (MAO) è in corso la mostra “Kakemono. Cinque secoli di pittura giapponese”, la prima in Italia focalizzata su questa forma d’arte, con l’esposizione di ben 125 kakemono oltre a ventagli dipinti e lacche decorate appartenenti alla Collezione Claudio Perino, un’importante raccolta di opere acquisite dal collezionista piemontese, fra i principali prestatori e mecenati del MAO. La mostra è a cura di Matthi Forrer, professore di Cultura materiale del Giappone premoderno all’Università di Leida.
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Il kakemono (掛物? letteralmente “cosa appesa”), o kakejiku (掛軸?), è un dipinto o una calligrafia giapponese, realizzato su un rotolo di seta, cotone o carta, e concepito per essere appeso durante occasioni speciali o utilizzato come decorazione nelle varie stagioni dell’anno. Il kakemono si apre verticalmente ed è una decorazione murale da interno. Viene esposto temporaneamente in determinati periodi dell’anno nel tokonoma, una piccola alcova rialzata all’interno delle case giapponesi, e poi riposto, accuratamente arrotolato, in apposite scatole oppure sostituito da un altro kakemono più appropriato alla nuova data. Vi sono famiglie giapponesi che ne possiedono in gran numero, addirittura centinaia. Un po’ come nel mondo occidentale si usano le decorazioni natalizie o pasquali, per poi accantonarle fino al nuovo anno. Rotoli preziosi estremamente diffusi in Giappone e in tutta l’Asia orientale, dove assume nomi differenti. Oltre al Giappone, la tradizione dei rotoli appesi è tipica anche dell’arte in Cina, Corea e Vietnam, e rappresenta il corrispettivo del “quadro” occidentale. Mentre le nostre tele o tavole hanno un supporto rigido, i kakemono presentano una struttura piuttosto morbida e sono concepiti per una durata limitata nel tempo.
Esposti nel tokonoma (alcova) delle case giapponesi o esposti per qualche ora soltanto nell’atmosfera ariosa di un giardino, queste particolari opere d’arte danno l’idea del tempo e del movimento, mentre i dipinti su tela o tavola tipici della tradizione occidentale restano immutabili nel tempo. Differenze che sono lo specchio di una diversa concezione estetica e filosofica: alla base delle opere su rotolo si trova infatti un’allusione all’instabilità e al mutamento quali elementi della vita.
In questa mostra i kakemono sono allestiti in cinque sezioni tematiche (fiori e uccelli, animali, figure, paesaggi, piante e fiori) che trasportano il visitatore in un viaggio interessantissimo, in cui raffigurazioni minuziose e naturalistiche, curate nei minimi dettagli, si alternano ad altre di stampo minimale e rarefatto, dove la forma si dissolve diventando segno evocatore di potenti suggestioni che anticipano l’astrattismo.
In Oriente i pittori dipingevano contemporaneamente in maniera “impressionistica”, “espressionistica”, “astratta” secoli prima che analoghe forme espressive cominciassero ad apparire in Occidente. A differenza dell’Occidente, i diversi stili pittorici hanno convissuto, senza escludersi a vicenda nel tentativo di definire veri e propri movimenti artistici.
Fra i kakemono esposti al MAO figurano alcune opere dei maggiori artisti giapponesi, tra cui Yamamoto Baiitsu, Tani Buncho, Kishi Ganku e Ogata Korin. Nella tradizione giapponese i Kakemono vengono osservati dal basso, seduti sul “tatami”. L’allestimento delle opere nella mostra rispetta questo punto di vista.
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Fin dai tempi antichi il genere kacho-ga, “dipinti di fiori e uccelli”, è stato tra i principali delle tradizioni pittoriche cinese e giapponese. Gli uccelli vengono dipinti in associazione predefinita con determinati fiori, piante o alberi. Anche gli uccelli esotici, come i pavoni, importati in Giappone per lo più da mercanti olandesi, sono stati rappresentati nei dipinti, come in quello di Araki Kanpo (1831 - 1915), Coppia di pavoni su un pino, dipinto a inchiostro e colori su seta esposto in questa mostra. Questi volatili erano importati dall’estero e, nel periodo Edo, erano molto apprezzati dai samurai e venivano allevati in grandi voliere.
Gallo e gallina, meglio se con pulcini, rappresentano la famiglia felice, come nel kakemono dipinto da Cho Gessho (Kyoto, Nagoya, 1772-1832), Un gallo con una gallina che protegge un pulcino, presso una pianta di amaranto. Il gallo domina la scena passeggiando, mentre la gallina si prende cura del piccolo: una bellissima rappresentazione di famiglia felice e armoniosa.
Simbolo di fedeltà coniugale, raffigurate sempre in coppia nei dipinti, sono anche le anatre mandarine, protagoniste di diversi kakemono esposti. Diversi uccelli, poi, sono associati alle diverse stagioni, come ad esempio gli usignoli che richiamando la primavera sono raffigurati spesso su rami di pruno, ad inizio fioritura. I ciliegi fioriti sono associati al terzo mese dell’anno e sono simbolo di provvisorietà. I passeri sono spesso dipinti con il bambù, mentre gli aironi si trovano tra le canne palustri. Le immagini delle gru, adatte a ogni periodo dell’anno, sono usate per celebrare l’inizio dell’anno nuovo in segno di augurio, come nell’opera di Itō Jakuchū (1713-1800) Sette gru, dipinto a inchiostro e colori su seta, del 1755 circa.
Rispetto all’iconografia degli uccelli, gli altri animali sono poco rappresentati nei dipinti giapponesi che si ispirano al mondo naturale. Si possono tuttavia trovare cervi, scoiattoli, volpi, cagnolini, gatti e tassi, anche se gli animali più frequenti sono i dodici che corrispondono ai segni dello zodiaco asiatico. È piuttosto raro che buoi, tigri, lepri, cavalli, capre, scimmie, serpenti e perfino draghi siano protagonisti di raffigurazioni pittoriche.
I buoi compaiono in ambiti rurali, in supporto alle donne di Ohara nel trasporto di legna da ardere o come cavalcatura di Sugawara Michizane, patrono dei letterati. Le scimmie sono spesso raffigurate mentre si cibano di larve o di miele, attaccate da vespe o api, ma anche in questi dipinti si trova il culto della famiglia, come nell’opera di Mori Sosen (Osaka, 1747-1821) Famiglia di scimmie, in mostra. Qui la madre si occupa del piccolo, mentre il maschio è in allarme per una vespa in volo. Le carpe, raffigurate in diversi kakemono esposti, sono simbolo di perseveranza e rappresentano un modello per i giovani nella scalata verso il successo. Si ritiene infatti che la carpa, risalendo la cascata e attraversando il Portale del Drago, possa trasformarsi in drago.
I draghi sono creature mitiche cinesi, hanno testa di cammello, corna di cervo, scaglie di carpa e artigli da tigre. Poiché vivono in mare, ma sono anche in grado di librarsi in cielo, si crede che siano messaggeri degli dei e rappresentino dunque lo Spirito e il Cielo. Nell’iconografia tradizionale il drago è spesso in coppia complementare con la tigre, anch’essa di origine cinese, simbolo della Materia e della Terra. Ne sono un esempio, in mostra, alcuni dipinti di Kishi Ganku (Kyoto, 1749 o 1756-1839) tra cui, molto bello, il kakemono in cui una tigre volge lo sguardo verso terra, attirata da qualcosa, e un drago vola libero nel cielo. Nei dipinti di tigri e draghi normalmente la tigre guarda con rispetto e timore verso il drago; in questo caso il pittore allude alla credenza secondo la quale vedere un drago a corpo intero può condurre a morte immediata. Motivo per cui, nei dipinti, una parte del corpo dell’animale è sempre omessa.
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Nella pittura tradizionale giapponese la rappresentazione delle figure antropomorfe è circoscritta ad alcune immagini di divinità buddhiste, come Bodhidharma, il fondatore dello Zen, di alcuni seguaci o discepoli del Buddha, o a ritratti di noti abati, così come ad alcune figure shintoiste, ad esempio gli Dei del Vento e del Tuono, o a personaggi della tradizione cinese, come i monaci Kazan e Jittoku, e la figura protettiva dell’uccisore di demoni Shoki. È solo con le tradizioni pittoriche di città nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, come la scuola Shijo-Maruyama a Kyoto e la scuola Ukiyo-e a Edo, che cominciano ad essere raffigurati personaggi comuni. In mostra spicca il dipinto su seta di Kaburagi Kiyokata (Tokyo, 1878-1972), raffigurante una geisha con parasole, sotto un acero con foglie autunnali (momiji). In quest’opera variopinta traspare la nostalgia dell’atmosfera di un mondo che va scomparendo.
Mentre piante e fiori, alberi fioriti e cespugli, sono collegati in modo più specifico alle stagioni e ai mesi dell’anno, gli uccelli sono visibili per quasi tutto l’anno. Associati alla primavera sono anche il gelso, il rododendro, la criptomeria, la viola, il dente di leone, la camelia, il glicine, il salice piangente, la rosa giapponese e molti altri. L’iris è collegato al quinto mese, in cui ricorre la Festa dei Bambini maschi, con carpe di carta che sventolano su paletti di bambù, entrambi simboli fallici. I fiori di loto sono tipici dell’estate, come le peonie e i gigli. L’autunno regala il blu intenso della bella di giorno ed i colori dei crisantemi fioriti. Ci sono poi le fioriture delle erbe palustri, le orchidee e le foglie rosse dell’acero che cadono una dopo l’altra, in una notte. Tra le piante con un significato simbolico la più importante è il bambù, che rappresenta sia la flessibilità sia la resistenza, nonché la sicurezza - essendo rifugio per la tigre che spesso accompagna. La rappresentazione pittorica del bambù era un esercizio importante, collegato per caratteristiche tecniche alla calligrafia, tanto che alcuni dedicavano a questa ricerca tutta la vita. Dipingere il fusto di bambù interrotto dai nodi, per poi passare al fogliame, richiede una lunga pratica e una grande padronanza nell’uso del pennello.
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Non poteva mancare, in mostra, la sezione dedicata ai paesaggi. Nei dipinti - diversamente che nelle stampe xilografiche giapponesi tradizionali del diciannovesimo secolo - la maggioranza dei paesaggi raffigura un’immagine ideale della natura e solo raramente di luoghi reali o vedute di località famose. Fa eccezione la serie di dipinti raffiguranti il monte Fuji, la montagna più alta del Giappone considerata sacra sin dall’antichità, di cui in mostra si trovano diversi dipinti.
Sia i testi cinesi sulla pittura dell’undicesimo secolo che gli esemplari di dipinti cinesi erano giunti in Giappone, influenzandone la pittura paesaggistica che raffigura di fatto vedute in stile cinese.
Il termine “paesaggio”, in entrambe le nazioni, è reso come “montagne e acque” (sansui). Lo documentano le opere esposte in questa sezione della mostra, in cui troviamo fiumi, laghi, corsi d’acqua, pozze o ruscelli in primo piano e picchi montuosi sullo sfondo. Ci sono poi, in scala minore, ponti, templi, padiglioni, edifici e piccole figure umane. Caratteristica della pittura paesaggistica è il suo essere quasi sempre realizzata con il solo inchiostro, con rare note di colore.
La mostra e il bellissimo catalogo, pubblicato da Skira e disponibile in italiano e in inglese, entrambi a cura dello studioso olandese Matthi Forrer, storico dell’arte orientale ed esperto di pittura giapponese, nascono da una collaborazione tra MAO e MUSEC - Museo delle Culture di Lugano - e, a un livello superiore, tra la Fondazione Torino Musei e la Fondazione culture e musei di Lugano - dove l’esposizione è stata presentata al pubblico nel luglio 2020.
La mostra “Kakemono. Cinque secoli di pittura giapponese. La Collezione Perino” rientra nell’ambito dei progetti di sviluppo internazionale recentemente avviati dalla Fondazione Torino Musei.