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LOGOS CONTEMPORARY ART

dal 20 Gennaio al 10 Febbraio 2018
Inaugurazione Sabato 20 Gennaio ore 17,00
Galleria Spazio Dinamico Arte
Via dei Ramaglianti 10/12 Firenze

di Alberto Gross
ScaraLogos è parola infinita, eterna, terribile: infinita perché priva di limiti, eterna perché continuamente mutando rinnova per sempre il suo principio di autoaffermazione, terribile perché insondabilmente oscura e indecifrabile. Una mostra d'arte che porti questo titolo dovrà farsi carico di ogni ambivalenza, incontrollabile contraddittorietà, di ogni continuato dissidio ed incoerente ribaltamento di senso, conservando leggerezza di sguardo, maturità percettiva e dolce mistero sognante.
Secondo le dottrine platoniche con il termine “logos” si definiva infatti l'individuazione della differenza, del dettaglio, del segno distintivo che definisce un oggetto nella sua identità, nella sua realtà specifica.
Tra pittura e scultura la mostra si configura come un itinerario a stazioni, a stasimi, molteplici e variegati stimoli in cui riconoscere - di volta in volta - il carattere fondante ed imprescindibile che informa il lavoro di ciascuno degli artisti selezionati.
Ci saranno allora i dipinti di Giuseppe Bedeschi e quel profumo di mare che si sente da lontano, le sue barche come gusci vuoti, svuotati, mai abbandonati, piuttosto corazze di chi ha combattuto il tempo e vive con la memoria dei giorni - anche futuri - nell'estrema nostalgia di un viaggio inesausto, viaggio di ritorno, di riandata, frammenti riaffiorati in cui lo stile è l'uomo ed il silenzio umido e livido la contingenza che ne deriva.
Gli acquerelli di Scara (Andrea Scaranaro) colorano la mente di una intatta visionarietà quasi lisergica: nelle orecchie vanno i Pink Floyd di “Meddle” e di “A saucerful of secrets”, mentre gli occhi inseguono quel mescolarsi liquido di capitolazioni cromatiche, forme che si rincorrono e si assommano, si assottigliano in fili di pensieri e labirinti di incamminamenti veloci, calmi, espressi nell'approssimazione sognante dell'impromptus, del non finito, finestra spalancata sull'inatteso.
Unico artista a presentare una serie di elaborazioni fotografiche, Liscivia (alias Andrea Tabellini) propone due differenti lavori: attraverso le sue “Visioni Rorschach” gioca nell'incastro imprevedibile delle Rorschach blot 10 2016 assemblage fotografico cm 43x55nostre reazioni psicologiche; la funzione psicometrica che le macchie di inchiostro simmetriche avevano nel contesto dell'esperimento medico diviene pretesto e scaturigine di un lavoro raffinatissimo e complesso in cui la capacità evocatrice delle immagini si eleva sopra la mutevolezza magmatica che ne camuffa la natura, dissimulandone i confini. Il progetto “Nerezza” riguarda invece l'effimero del processo artistico, il suo farsi e disfarsi nel tempo sottile di un battito di ciglia, entro il quale cancellazione ed emersione dell'immagine altro non siano che differenti nomenclature di una medesima istanza visiva, praticata ed annullata nella molteplicità sinuosa e liquida dello spazio.
L'accortezza stilistica di Carlo Lanini opera una sorta di transizione dalla poetica classica dell'immagine rappresentata ad una “mitopoietica” del tutto personale in cui la maschera - “prosopon” in greco classico - riacquista il proprio significato di persona: i gesti, i movimenti, i vezzi di un Arlecchino della Commedia dell'arte si vestono della verità che solo la difesa di un costume e di una maschera sa dare. La persona non viene nascosta o dissimulata dalla maschera, è - essa stessa - la maschera.
Giovanni Pastore racconta invece immagini di viaggio in cui il sapere geografico abbandona la considerazione del divenire delle cose, lasciato, a sua volta, alla storia. Le sue sono narrazioni, storie di persone che divengono repertori di concetti, sillogi di modelli mentali dai quali dipende la nostra fiducia che la spiegazione delle dinamiche del mon-do sia Carlo Lanini arlecchino olio su tavola cm 33x70correlata alla sua descrizione: una geografia umanistica che impedisce al soggetto di sfuggire o di allontanarsi definitivamente dalle nostre possibilità sensibili, divenendo - alfine - invisibile.
E' uno speciale tipo di archeologia del divenire a muovere l'intero lavoro di Maurizio Pilò: l'albero ritratto nei suoi lavori diviene metaforicamente l'insieme delle leggi che regolano l'Universo, catalizzatore e vettore di esperienze plurime e stratificate che rinnovano la propria capacità evocatrice una volta lasciate riaffiorare naturalmente dal magma che ne camuffa la natura, dissimulandone i confini. L'artista scrive in questo modo storie naturali dalla tattilità visiva estrema, occupate in una radicalità analitica che trasfigura la sua personale memoria – intuitiva ed inconscia – nella mia e nelle nostre suggestioni, sia referenti di un reale vissuto, sia ipoteticamente soltanto vagheggiate. Il lacerto, lo strappo, la concrezione di colore a riempire l'incavo di un tronco, a macchiare d'oro le dita del cielo non sono che gli incidenti, le contingenze quotidiane, gli insignificanti e fondamentali movimenti del tempo che registrano le differenze dei giorni, le discrasie nel Giovanni Pastore Solo un filo disperanza cm 50x66 acquerellocomune spazio dell'agire. La scultura di Mario Zanoni integra relazioni complementari nell'inesausta ricerca dell'altro da sé: è la praticata visionarietà di una forma incline alla distorsione della natura, la costruzione di una metaforma che ne superi lo svelamento in una sorta di prometeismo artistico praticato nei termini di una poetica del proliferante. Il dettaglio diviene elemento contrastivo assoluto, luogo prediletto di decantazione di accadimenti che si reificano solo se pensati come fantastici, appartenenti ad un altro quando supposto ed ultradimensionato. Alla lineare contemplazione dell'apollineo viene preferita la meravigliante mostruosità del dionisiaco. Le piccole installazioni di Elena Modelli preparano mondi surreali, stravaganti, iperbolici, viottoli e crocicchi in cui sarà normale incontrarsi con chiocciole variopinte che ci scrutano curiose, dalle antenne svagatamente vigili: un'ipotesi di elevata leggerezza visiva che riconduce alla lezione di grandi nomi del fumetto nostrano come Altan e Jacovitti.
Infine Liè (Lietta Morsiani) infonde nelle sue terrecotte la purezza intatta del femminino ancestrale unita alla disgregazione ineludibile della materia. Le forme sono incavo, protezione e svelamento al tempo stesso, nascita e morte della natura viva delle cose: viva perché ogni disfacimento ricostruisce sé stesso, la donna - terra, sangue, madre, universo che crea il tempo rigettando via Urano dal proprio ventre - si ibrida a volte in forme zoomorfe, percorre sinuosità impreviste fino a scontrarsi e perdersi nella sacralità di un nido, muta, urlante gli squarci profondi di una notte portata al rogo dalla propria alba.