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MONET

Dal museo Marmottan Monet di Parigi
Milano, Palazzo Reale
Fino al 30 gennaio 2022
a cura di Silvana Gatti

Sono trascorsi sei anni da quando, alla GAM di Torino, si tenne un’importante mostra dedicata a Claude Monet. Nel 2015 furono le opere provenienti dal Museo d’Orsay di Parigi ad essere esposte ed apprezzate dal pubblico. Sei anni dopo, gli estimatori del pittore francese possono vedere le opere di Monet provenienti dal Museo Marmottan di Parigi in una importante mostra a Palazzo Reale di Milano.
“Monet. Dal Musée Marmottan Monet, Parigi” offre ai visitatori un percorso espositivo, corredato da fotografie d’epoca e postazioni didattiche, in grado di restituire al pubblico l’excursus dell’artista sul tema della riflessione della luce. Claude Monet, padre dell’impressionismo, ha influenzato il suo tempo ed è stato capace di porre le basi dell’arte moderna per merito del suo stile rivoluzionario.
Promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia, la mostra è curata da Marianne Mathieu, direttrice scientifica del Musée Marmottan Monet di Parigi, ed è realizzata in collaborazione con suddetto museo, da cui proviene l’intero corpus di opere, e l’Académie Des Beaux - Arts - Institut de France. La mostra rientra nel progetto “Musei del mondo a Palazzo Reale” nato con l’obiettivo di far conoscere le collezioni e la storia dei più importanti musei internazionali.
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Il percorso espositivo comprende 53 opere di Monet tra cui le famose Ninfee(1916-1919), Il Parlamento, Riflessi sul Tamigi (1905) e Le rose (1925-1926), la sua ultima e magica opera, un prestito eccezionale. Il percorso cronologico attraversa l’intera parabola artistica del Maestro impressionista, letta attraverso le opere che l’artista stesso custodiva gelosamente nella sua abitazione di Giverny; opere che il Maestro non volle mai vendere e che ci raccontano le più grandi emozioni legate al suo genio artistico.
La prima sala della mostra milanese è allestita con mobili originali del periodo napoleonico, e vuole essere un omaggio a Paul Marmottan, il fondatore dell’omonimo museo da cui provengono le opere qui esposte. Appassionato studioso del primo Impero, egli raccolse testimonianze di quel momento della storia europea. La sua collezione di opere d’arte, libri, medaglie, stampe, almanacchi, documenti e cimeli del periodo napoleonico era conservata in sale arredate in stile impero e decorate con nicchie e sculture marmoree in stile neoclassico. Marmottan curò personalmente ogni dettaglio dell’arredamento e, per sua volontà, l’assetto delle sale rimase tale quando, dopo la sua morte, il palazzo e le raccolte passarono in eredità all’Académie des beaux-arts affinché ne facesse un museo aperto al pubblico. La mostra si apre quindi documentando le origini del Musée Marmottan Monet che, nel corso del Novecento, ha incrementato le collezioni grazie a donazioni di opere impressioniste.
Nel 1934, secondo la volontà di Paul Marmottan, l’edificio fu trasformato in un museo. Gli arredi in stile Impero e i dipinti neoclassici di Robert Levre (1755-1830) e Jean-Victor Bertin (1767-1842) documentano la passione dello studioso per l’arte dell’Europa napoleonica. Un’arte accademica ben lontana dall’impressionismo. Nel 1966 l’istituzione ha ereditato la più vasta raccolta al mondo di opere di Claude Monet (1840-1926) grazie al lascito del figlio minore e discendente diretto del pittore, Michel Monet. Il museo ha aggiunto quindi al suo il nome del maestro di Giverny. Le opere di questa prima sezione illustrano due stili pittorici molto differenti: da un lato, un ritratto di Robert Levre e un paesaggio di Jean-Victor Bertin dalla collezione di Marmottan; dall’altro, un ritratto di Monet e due tele in cui l’artista ha delineato rapidamente i tratti del figlio Michel.
Dalla fine dell’Ottocento le innovazioni tecniche favoriscono la pratica della pittura en plein air. I cavalletti diventano pieghevoli, il materiale si alleggerisce, la tavolozza si arricchisce di nuovi pigmenti. Nel 1841 l’americano John Goffe Rand (1801-1873) lancia sul mercato il tubetto di metallo usato ancora oggi, in sostituzione della vescica di maiale, materiale dalla tenuta stagna relativa. Una decina d’anni dopo la ditta Lefranc sostituisce il tappo a incastro con un tappo a vite. Gli artisti hanno a disposizione nuovi colori, più luminosi e stabili: il giallo di cadmio ad esempio, commercializzato a partire dal 1850. Nel contempo cambiano anche i supporti. Queste trasformazioni spingono i paesaggisti verso un approccio differente, si cerca di fissare sulla tela l’atmosfera del momento e le impressioni che ne derivano, a scapito della perfezione del disegno e della forma.
I continui rifiuti da parte della giuria del Salon spingono i giovani Indipendenti, come inizialmente vengono definiti dai critici, a pensare ad un nuovo modo di esporre indipendente, come artisti di un circolo privato. A ospitare la loro prima mostra collettiva, nel 1874, è lo studio del fotografo Nadar. L’evento desta scalpore e polemiche, come documenta l’articolo del critico Louis Leroy, che è all’origine del nome ripreso da questi giovani artisti come un manifesto e una sfida. Immaginando un dialogo tra due visitatori:“Che cosa rappresenta questa tela? Guardate il catalogo: Impressione, sole nascente. Impressione, ne ero sicuro. Ci dev’essere dell’impressione, là dentro. E che libertà, che disinvoltura nell’esecuzione! La carta da parati allo stato embrionale è ancor più curata di questo dipinto!”. Questa ironica battuta rimarrà negli annali della critica, aprendo tuttavia la strada ad una nuova era artistica che stava nascendo.
Prima di giungere a una declinazione stagionale, quotidiana, addirittura oraria delle sue opere, Claude Monet inizia a studiare arte sotto la guida di Charles Gleyre (1806-1874) presso l’Ecole impériale des beaux-arts di Parigi. Ma i due entrano presto in conflitto su quale sia il modo migliore di rappresentare il paesaggio. L’allievo, deciso a cogliere l’essenza stessa della natura, abbandona il maestro che al contrario lo vorrebbe indirizzare verso l’idealizzazione: “Ricordatevi, dunque, giovanotto, che quando si esegue una figura, bisogna sempre pensare all’antico”. Due settimane dopo Frédéric Bazille, Auguste Renoir (1841- 1919) e Alfred Sisley (1839-1899) seguono l’esempio del loro compagno. Inoltre la gamma dei colori impiegati, lavorando in pieno giorno, diventa più chiara.
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Monet viene introdotto a questa pratica da Johan Barthold Jongkind (1819-1891) e da Eugène Boudin (1824-1898). Il pittore viaggia molto in giro per la Francia e si reca anche all'estero per dipingere marine, paesaggi o anche scene di vita familiare, come il ritratto della moglie Camille (1870). Dal 12 settembre al 25 novembre 1886 Monet risiede a Belle Ile sul mer, dove esplora il litorale per carpirne lo spirito selvaggio e fissarlo sulla tela. Lo aiuta in questo periodo Hippolyte Guillaume, un pescatore di aragoste soprannominato Poly, che per due franchi al giorno diviene il suo assistente. L’artista lo ritrae con il cappello nero e la barba lunga e incolta che, insieme all’incarnato color mattone, dà l’idea della fatica di vivere sull’isola come pescatore, in balia del sole e del vento. Una tela che Monet conserverà gelosamente per tutta la vita.
Scegliendo di lasciare l’atelier per andare a dipingere dal vero, gli impressionisti infrangono la gerarchia dei generi pittorici. Negli stessi anni si assiste alla nascita della fotografia, nuovo miracolo della tecnica, e viene meno il bisogno di dipingere copiando alla perfezione un determinato soggetto. Per i nuovi artisti, diventa importante l’emozione immediata prodotta da un paesaggio o dalle scene di vita moderna. Monet, maestro della pittura en plein air, dedicherà l’intera vita in maniera quasi maniacale a cercare di cogliere le variazioni luminose e le impressioni cromatiche dei luoghi che osservava. Per catturare la luminosità che varia di ora in ora, il pittore lavora in fretta, con pennellate che si susseguono rapidamente, e si sposta in località in cui si verificano violenti cambiamenti climatici. Porta con sé diverse tele, e le cambia col cambiare dell’ora. Nascono le serie della cattedrale di Rouen, la serie dei covoni di fieno, e non solo.
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La costa della Normandia, da Etretat a Honfleur, e la regione della Creuse, gli offrono la possibilità di ritrarre l’intensità luminosa in un ambiente naturale ancora selvaggio. Monet trascorse la primavera del 1889 dipingendo il paesaggio intorno alla confluenza di due fiumi, la Petite Creuse e la Grande Creuse, nel villaggio di Fresselines nella Francia centrale. Opere quali Falesia e porta d’Amont e Barche nel porto di Honfleur, dipinte in Normandia, rendono l’idea di come l’artista lavorasse con pennellate veloci e frenetiche, cercando di cogliere l’atmosfera del momento prima di un repentino cambio del tempo. Il 21 ottobre 1885 Claude Monet confida ad Alice Hoschedé, sua seconda moglie, la sua contentezza constatando che a Étretat è tornato il bel tempo: “Da tre giorni il tempo è superbo e me lo sto godendo, ve lo assicuro; le barche si preparano per la pesca delle aringhe, la spiaggia si è trasformata, è molto vivace, molto interessante”. Dall’hotel Blanquet, a due passi dalla bellissima spiaggia di Étretat, Monet lavora in prima fila. In Barca a vela, effetto sera introduce, tra il cielo e il mare che si annullano, una barchetta delineata con un tratto fine e preciso; il profilo scuro della vela contrasta con i colori pastello che dal giallo al rosa svelano il sole che tramonta all’orizzonte.
Nella carriera di Monet, Londra è un vero e proprio laboratorio di sperimentazione. I paesaggi spettrali generati dai fumi delle fabbriche e la foschia del Tamigi gli permettono di lavorare su ciò che in pittura è difficile da realizzare: la nebbia impalpabile che copre le architetture e la luce mutevole che sfiora la superficie dell’acqua. Come il Turner, an- che Monet vuole rendere l’effetto impalpabile dei fumi e della nebbia in opere come Il Parlamento di Londra. Con le vedute del ponte di Charing Cross e del Parlamento, dipinte nel corso di vari soggiorni successivi, si apre per lui una nuova fase di ricerca. La serie di Charing Cross Bridge è nata tra il 1899 e il 1904: rappresenta l’Hungerford Bridge (chiamato anche Charing Cross Bridge) e sullo sfondo il Palazzo di Westminster. Questo era il panorama che Monet vedeva dalla sua camera al Savoy Hotel, dove risiedeva nei suoi soggiorni londinesi. La serie, diverse opere dedicate alla nebbia che avvolge il Tamigi, comprende diversi dipinti e si unisce a quella dei parlamenti di Londra e del ponte di Waterloo. Sembra che Monet iniziasse la sua giornata dipingendo il ponte di Charing Cross e il ponte di Waterloo, per poi spostarsi con tele, colori e cavalletto dietro al Parlamento, al tramonto. I mutamenti delle condizioni meteorologiche e i veloci spostamenti della nebbia sul fiume non permettevano a Monet di indugiare a lungo su un’opera, spingendolo spesso a cambiare tela per catturare una nuova scena. Alla fine del suo soggiorno nel 1901, il pittore aveva prodotto quasi un centinaio di tele su Londra, quasi tutte completate. Appese poi nel suo grande studio a Giverny, molti di questi furono successivamente ritoccati o finiti in seguito, fino al 1903. Tornato a Giverny, con le Ninfee del 1904 e 1907 Monet rivolge la sua attenzione ad un particolare del suo giardino, le amate ninfee, che diventano le protagoniste di una nuova serie di dipinti, dal titolo Paesaggi d’acqua. Qui è lo spazio a diventare il protagonista della tela.
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Monet si diletta a raffigurare la superficie riflettente dell’acqua, accentuandone l’effetto con l’eliminazione di ogni riferimento alla riva. Dai riflessi sull’acqua si evince che sulle sponde dello stagno crescono salici piangenti mentre il cielo è solcato da nuvolette. I fiori sono resi con piccoli tocchi di colore puro, contribuendo a regalarci l’immagine di un mondo fluttuante che sembra preannunciare l’astrattismo.
Dal 1914 fino alla sua morte nel 1926, Monet esegue ben centoventicinque pannelli di grande formato che hanno come soggetto il giardino d’acqua di Giverny. Una selezione di queste opere - oggi nota come le Ninfee dell’Orangerie - viene offerto dal pittore allo Stato francese. Dipinti monumentali, realizzati nell’atelier, portano all'estremo la ricerca già iniziata con le Ninfee del 1903 e del 1907. In queste opere l’artista annulla la prospettiva reale immergendo il fruitore in una distesa d’acqua che si fa specchio, e protagonisti del dipinto sono le nuvole e le fronde dei salici che si riflettono sulle acque dello stagno. Paesaggi, in cui cielo e terra si confondono, invitano il visitatore ad un'esperienza contemplativa in cui la raffigurazione di un semplice fiore commuove suggerendo l’immensità della natura.
La passione per i fiori ha accompagnato tutta la vita di Monet. Amava molto arricchire il suo giardino con fiori esotici che si faceva arrivare anche dal Giappone. Il giardino di Giverny, con piante che fioriscono in ogni stagione, ancora oggi è visitabile da chi, facendo un viaggio in Francia, fa una piacevole sosta in quella che era la casa di Monet per poi visitare la cattedrale di Rouen, immortalata dall’artista nelle diverse ore del giorno, e giungere finalmente ad Etretat e poi Honfleur in un pellegrinaggio artistico, alla ricerca delle atmosfere e delle emozioni che, grazie alle tele di Monet, possiamo rivivere ancora oggi.
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Verso i 70 anni Monet iniziò a soffrire per la cataratta ed a dipingere solo in alcune ore del giorno. Nei quadri eseguiti in questo periodo i colori perdono le sfumature, i contorni diventano sfocati, scompaiono i dettagli e le immagini perdono di tridimensionalità. A 83 anni si operò all’occhio destro che era diventato cieco, ma non volle ripetere lo stesso intervento all’occhio sinistro. “Con l’occhio sinistro tutto è rosso, il cielo è giallo, mentre con l’occhio destro tutto è blu”. La sua visione dei colori migliorò con delle lenti gialle prodotte in Germania, che gli permisero di ritrovare il verde, il rosso ed il blu attenuato.
La mostra si chiude con Le rose, dipinte nel 1926 all’età di 85 anni (lo stesso anno della sua morte). Un’opera come questa desta commozione a causa del suo carattere incompiuto, con i boccioli che leggeri si stagliano delicatamente contro un cielo azzurro. La composizione raffigura alcuni rami del suo roseto ed evoca le stampe giapponesi che il pittore collezionava con tanta passione. Con Le rose, Monet rende omaggio alla natura che ha saputo raffigurare così bene, insieme alla fragilità e alla caducità di ciò che ci circonda. Una mostra imperdibile per gli amanti di questo artista che, ancora oggi, desta emozione e commozione.