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Nel segno della Musa

“Ritratti d’artista” - Talenti del XXI secolo.
Le interviste di Marilena Spataro.
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Elena Modelli
Un mondo favolistico ispirato alla natura. Un bestiario fantastico coloratissimo, gioioso e giocoso. Hanno fatto delle sculture di Elena Modelli un raffinato cult dell'arte ceramica che vede il suo nome suscitare grande interesse tra galleristi e collezionisti in Italia e all'estero.

Come e quando avviene il suo incontro con l’arte e come nasce il suo percorso da ceramista e poi da scultrice della ceramica?
«Il mio incontro con l’arte è avvenuto quando ero ancora una bambina. La sorella di mio padre, zia Enrica, che viveva a Milano, dove lavorava come infermiera, si invaghì di un pittore che abitava nell’appartamento contiguo al suo. Dopo un serrato corteggiamento riuscì a farlo capitolare e a condurlo all’altare. L’ingresso dello zio pittore, nella nostra famiglia, ci aprì le porte di un mondo nuovo legato all’arte.
Lo zio Antonio Soncini ci conduceva a visitare mostre d’arte e palazzi storici; essendo insegnante all’Accademia di belle arti di Brera, ci forniva spiegazioni esaurienti su quello che i nostri occhi vedevano. Iniziai ad appassionarmi alla pittura e mi esercitai decorando le pareti di casa. Chi entrava a casa mia veniva accolto da una serie di personaggi dipinti da me. Questo avveniva quando frequentavo ancora le elementari.
Alle scuole medie ho avuto come docente di disegno Dino Boschi, pittore bolognese molto conosciuto. Era molto severo e pretendeva che sul foglio non ci fossero macchie. lo mi davo da fare con gomme varie per presentargli un foglio immacolato ma lui trovava sempre qualche imperfezione. Non riuscivo mai a salire oltre il 6. A quel punto mi sono focalizzata verso altri interessi».
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Quali sono state le figure di riferimento e i maestri del passato e della contemporaneità che l’hanno maggiormente influenzata nel suo percorso d’artista?

«Uno dei pittore dal quale ho attinto per i miei lavori è Paul Klee. Di lui apprezzavo le opere così essenziali dove predominano linee e campiture colorate che tuttavia riuscivano ad esprimere sentimenti e stati d’animo. Poi lungo le vie di Manhattan mi sono imbattuta nelle sculture di Jeff Koons che mi hanno entusiasmata per le loro forme sintetiche e per la brillantezza dei colori e dei materiali usati. Mi sono spesso ispirata ai suoi lavori, soprattutto nell’uso dei colori brillanti e nella semplicità delle forme».
Essere di Imola, città pressoché contigua a Faenza, nota, quest’ultima, internazionalmente per le sua grande tradizione ceramica, ha in qualche modo contributo ad avvicinarla a quest’arte?
«Un tempo anche Imola aveva una tradizione ceramica ed era in competizione con Faenza per il primato, ma poi Faenza ha avuto il sopravvento. Da quando è stato eletto sindaco Massimo Isola, persona molto sensibile a questo tema, gli eventi dedicati alla ceramica si sono moltiplicati e la città di Faenza è ancora più interessante sotto il profilo artistico. A Faenza c’è il museo dell’arte ceramica che ospita la raccolta dell larte ceramica più importante al mondo. Questa città è per me un polo attrattivo e mi ha fagocitata a tal punto che ora mi sento più faentina che imolese».
Per essere dei bravi artisti della terracotta, a suo avviso, bisogna essere anche dei bravi artigiani?
«Essere artigiano è fondamentale se si vogliono produrre opere in ceramica. Ho studiato scultura per imparare a dar cor- po alle forme, ma parallelamente ho frequentato i corsi di ceramica.
È indispensabile conoscere i vari tipi di argilla per scegliere quella più adatta al lavoro che devi affrontare. Devi conoscere i tempi e i gradi di cottura per non incorrere in brutte sorprese. Altrettanto importante è la conoscenza del mondo degli smalti. Ne esistono di svariati tipi, ve ne sono anche con effetti speciali da usare con parsimonia per non rendere il lavoro stucchevole».
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Come e quanto si integrano e sono complementari questi due aspetti nel suo fare artistico?

«La prima parte del mio lavoro è incentrata sulla scultura, poi una volta modellato, l’oggetto viene fatto asciugare e affronta la prima cottura. Arriva il momento della pittura che è quello che mi piace di più. Uno dei momenti più belli è la scelta del colore. Li passo tutti in rassegna nella mia testa, a volte li penso anche di notte poi la confusione prende il sopravvento e il più delle volte mi affido al caso».
Quale è il suo rapporto con il mondo del- le botteghe della tradizione ceramica artigianale faentina?
«Ho frequentato alcune delle più importanti botteghe artigiane di Faenza, in particolare quella di Geminiani in Via Nuo- va. All’inizio della mia attività andavo a cuocere i miei lavori da lui. Era una persona generosa ed elargiva preziosi consigli, aiutava i giovani artisti mettendo loro a disposizione gli spazi nel suo laboratorio. Ho frequentato altri laboratori che erano anche luoghi di incontro per artisti provenienti da tutto il mondo. Uno di questi era il laboratorio di Emidio Galassi, situato in una casa colonica. Era un punto di riferimento per molti artisti che arrivavano da nazioni diverse, lì ho sperimentato varie tecniche e modalità di cottura. Un altro laboratorio importante per il mio percorso artistico è stato quello di Guido Mariani, un grande artista e ceramista purtroppo deceduto prematuramente. Era un bravissimo insegnante che amava trasmettere tutte le sue conoscenze agli allievi».
Nelle sue sculture, specie in questi ultimi anni, lei predilige soggetti del fantastico, in particolare del mondo animale. Quali i moventi estetici e culturali di questa scelta. E quale la poetica che fa da filo conduttore al suo lavoro e che maggiormente lo caratterizza?
«Credo che siano gli animali che mi vengono incontro per chiedermi di riprodurli. Cerco di rappresentarli usando una forma poetica, pur senza copiarne le fattezze reali. Trovo un’immagine che richiami l’animale che intendo rappresentare, cerco di presentarlo in veste scherzosa, allegra e accattivante. L’insieme dei miei animaletti coloratissimi e allegri crea un' atmosfera positiva intorno a me».
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Quanto è importante il colore e la ceramizzione nel suo modo di fare scultura e nella resa plastico espressiva delle sue opere?

«La ceramizzazione toglie molto alla resa scultorea dell’oggetto perché la lucentezza della cristallina e degli smalti attenua la percezione dei volumi e tende ad appiattire I’opera. ln compenso viene aumentata la percezione visiva e l'immediatezza del lavoro».
Pensa che oggi il mondo femminile, al contrario che in passato, possa trasformarsi in soggetto attivo, capace di portare il suo contributo di creatività nel mondo delle arti figurative?
«Molte sono le artiste che utilizzano elementi fino ad ora estranei all’arte classica. L’artista inglese Julie Arkell si è affermata nel campo dell’arte contemporanea con creazioni fatte con la stoffa. Mia nonna creava dei bellissimi animali utilizzando ritagli di stoffa, ma all’epoca non veniva considerata un’artista e i suoi pupazzi finivano alla pesca di beneficenza della parrocchia».
Come vede l’arte contemporanea e come reputa sarà in futuro il rapporto tra le arti visive legate alle nuove tecnologie e le arti tradizionali quali la scultura, la pittura e l’antica tradizione ceramica?
«Il mondo dell’arte si avvale di nuove tecnologie. Mi affascina il mondo dell’arte digitale, ho anche avuto esperienze in questo campo. Vorrei avvicinarmi in particolare all’arte che utilizza la stampante in 3D».
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Pur essendo arrivata nel mondo ufficiale dell’arte non più giovanissima, in breve tempo è riuscita a ottenere l’attenzione di pubblico e critica con ottimi esiti sul fronte della notorietà e del mercato. Quale il segreto che l'ha portata a questo?

«Credo che i miei lavori piacciano per l’allegria che suscitano, riportando al mondo di favola dell'infanzia e ai ricordi ad essa legati».
Se dovesse dare in suggerimento ai giovani di oggi che intendono intraprendere la carriera artistica cosa si sentirebbe di suggerire loro alla luce di questa sua felice esperienza nel campo dell’arte?
«Un consiglio che do ai giovani artisti è di non arrendersi di fronte alle prime difficoltà. L’impegno ripaga sempre, bisogna credere in se stessi e non demordere. Non ritenersi mai arrivati, ma continuare a sperimentare e aggiornarsi. Penso che sia importante mostrare il proprio lavoro e trovare un modo personale si fare arte».
Che posto ha il sogno nella vita e nell’arte di Elena Modelli. C’è ancora un sogno nel cassetto che l’attende?
«Il sogno c’è sempre. Quando finisce il sogno finisce l’artista. Il mio sogno? Una mostra a NY!».