“Ritratti d’artista” Maestri del '900
Protagonista negli anni Sessanta del movimento dell’Arte Povera, Michelangelo Pistoletto, uno dei maggiori artisti contemporanei, con il tempo ha legato il suo nome a una serie di iniziative che vanno a coniugare indissolubilmente e con continuità l'arte all'impegno sociale. «La creatività artistica come ogni atto umano, nel suo farsi si espande all’esterno e come l’acqua riflette l’altro da sé. Mentre scorre e dilaga in tutti gli ambiti del vivere» spiega il maestro. L’arte per lui è, infatti, un elemento di conoscenza e di rivelazione dell’esistente attraverso cui soddisfa il suo bisogno innato «di riconoscere la vita e la realtà». Vita e realtà che oggi, nella sua visione, più che mai incrociano l’arte «la quale si distende come un’acqua incontrando la politica, l’economia, la comunicazione, l’educazione e tutti quegli elementi che hanno come sfondo la creatività umana».
Ed è proprio su quel filone della capacità creativa umana che per Michelangelo Pistoletto l’arte si trasforma in altrettanta capacità di agire, muoversi, produrre, creare, formare. Un’idea alla quale egli ha voluto dare concreta attuazione realizzando a Biella, sua città natale, la Cittadellarte.
Cosa è esattamente, maestro, la Cittadellarte?
«Cittadellarte è la sede originaria del progetto del Terzo Paradiso; il luogo dove fare esperienza di un modo di vivere fondato su questa visione rigeneratrice. Cittadellarte è un nuovo modello di istituzione artistica e culturale che implica l'arte nei diversi settori della società».
Come e perché nasce questa struttura?
«Nell’arte moderna sono avvenuti grandi sconfinamenti, io addirittura ho fatto delle opere negli anni 70 in cui il quadro spezza anche la cornice ed esce da quello che è lo schema tradizionale del quadro. Quando la cornice si spezza, il quadro “dilaga”, invade lo spazio, gli ambiti e gli ambienti. E quando ci si trova davanti ad un quadro dilatato, esso diventa come l’acqua che non è più solo specchio, ma qualcosa che si va stendendo su tutti i territori. Quanto alle finalità della struttura esse sono di far germogliare, nel rapporto tra sentimento e ragione, delle nuove visioni del mondo, partendo, non dal calcolo economico o politico, ma da una sensibilità e da un bisogno di tipo culturale».
A che età si manifesta il suo interesse per l'arte?
«Fin da adolescente frequentando lo studio di mio padre che era pittore; lui guardava soprattutto all’arte classica, mentre io ho seguito un’altra strada. Ancora giovane decisi di andare a Milano per frequentare la scuola di pubblicità grafica con Armando Testa. Fu così che presi a guardare con interesse all’arte contemporanea, scoprendo in essa una libertà di espressione che mi consentiva di esprimere attraverso le arti figurative le mie più profonde attitudini e il mio senso poetico ed estetico in rapporto con il mio mondo interiore e con quello circostante».
All’inizio della sua carriera quali erano i suoi modelli artistici ed estetici di riferimento?
«I miei modelli di riferimento all’inizio erano rivolti al Rinascimento, in particolare Piero della Francesca, un artista che attraverso la sua straordinaria capacità di proiettare il reale attraverso la prospettiva, mi dava un senso di possibilità prospettiche che potevano essere riprese. Poi naturalmente guardavo agli artisti dell’800 e del 900 e soprattutto agli espressionisti astratti».
Lei è stato uno dei protagonisti dell’Arte povera. Quali sono stati i moventi artistici da cui nacque quel movimento e quali quelli suoi personali?
«La definizione Arte Povera non nasce con il movimento, è stata fissata successivamente da Germano Celant. Quanto alla mia volontà era quella di fare dell’arte qualche cosa di molto vicino alla realtà, molto vicino alla vita e legato alle fenomenologie primarie dell’esistenza. Che sono poi i motivi ispiratori di molti altri artisti in quel momento: si cercavano dei materiali, dei prodotti, delle concezioni che fossero fenomenologicamente primari».
A suo parere qual è la lezione lasciata da questo movimento alle generazioni successive?
«C’è un’oggettività nel lavoro dell’Arte Povera, una relazione oggettiva col mondo, con le cose, con le materie e non soltanto una posizione individualistica e soggettiva. Questi sono aspetti che vengono riconosciuti come elementi di fondo dal senso comune. Oggi i giovani, pur introducendo una nuova individualità nel lavoro, mantengono questo fondo di oggettività, di relazione con il vero, in senso non solo rappresentativo, ma come fenomeno naturale».
A proposito di giovani, come giudica l'attuale panorama artistico?
«In un certo senso è un panorama molto più libero di qualche anno fa, in quanto i giovani non sono più legati a un’attività di corrente o non la ricercano. Sono più sparsi e autonomi. C’è quindi un panorama molto meno “inquadrato” di quello esistente nel ventesimo secolo. Oggi non c’è un sistema artistico che prevalga sull’altro. Ritengo che attualmente ci sia più attenzione verso una concezione poetica ed autoreferente dell’arte figurativa, così come avviene anche nella musica e nella letteratura. Personalmente sono interessato a figure di artisti che in qualche modo seguono una strada meno autoreferenziale, più eterodossa nella loro ricerca; il mio stesso lavoro di oggi si è evoluto in una direzione ancor più oggettiva di prima, che è quella di un impegno dell’arte verso quelle che sono le problematiche della vita nella società».
Quale contributo può derivare alle arti figurative dalle tecnologie di frontiera e dall’informatizzazione dei saperi?
«L’arte è un fenomeno pubblico, anche se esprime a volte sentimenti molto privati. Quindi, questo bisogno di comunicare attraverso i nuovi mezzi mi sembra necessario, persino ovvio. Essere coerenti con il nostro tempo vuol dire anche utilizzare i mezzi del nostro tempo».
Nell’atto creativo, a suo parere, c’è anche una valenza sociale o solo individuale?
«Credo ci sia sempre una combinazione tra il sé e il mondo. Anche le tensioni, i drammi che l’arte è capace di evidenziare, sono vibrazioni che partono dall’interno, ma che provengono dall’esterno. L’esterno e l’interno dell’individuo nell’arte devono collegarsi, congiungersi».
La Sua poetica, specialmente quella degli specchianti, si può considerare come anticipatoria rispetto al percorso poi da lei intrapreso con Cittadellarte?
«Sono partito dall’autoritratto, che non è più solo il ritratto dell’artista, ma, attraverso la trasformazione della tela in superficie specchiante, è il mondo stesso che entra nell’autoritratto, per cui il mondo, la gente, la società entrano a far parte direttamente dell’opera e la penetrano. A questo punto l’opera riflette il mondo e a sua volta si riflette sul mondo: l’artista non è più solo e l’autoritratto dell’artista è anche l’autoritratto del mondo. Questo sentirsi immerso nel grande spazio del vissuto e nella grande comunità umana è il passo naturale che porta alla Cittadellarte».
Tornando alla Cittadellarte, questo progetto è intrinsecamente collegato alla teoria del “Terzo paradiso”. In cosa consiste tale teoria?
«Il simbolo del Terzo Paradiso, riconfigurazione del segno matematico dell'infinito, è composto da tre cerchi consecutivi. I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità. Cittadellarte e io, come Michelangelo Pistoletto, portiamo il Simbolo del Terzo Paradiso a reinventarsi in centinaia di installazioni realizzate da comunità in tutto il mondo. Io e Cittadellarte stessi ne progettiamo in prima persona alcune, ma la maggior parte sono opere collettive, individuali o aperte, il cui autore è la comunità che le realizza. Unico requisito obbligatorio richiesto da Cittadellarte è che la realizzazione del simbolo non sia fine a se stessa, ma sia parte di un progetto condiviso che preveda azioni con la comunità che fanno vivere i temi che il simbolo rappresenta.
La prossima missione dell’astronauta italiano Paolo Nespoli sulla ISS, la Stazione Spaziale Internazionale, utilizzerà come logo la riconfigurazione del segno matematico d’infinito, il Terzo Paradiso. Il progetto è realizzato in collaborazione con ASI (Agenzia Spaziale Italiana); ESA (European Space Agency). In questa occasione verrà anche lanciata l'APP SPAC3 sviluppata dall’ESA con RAM radioartemobile in cooperazione con l’ASI e Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, con l’obiettivo di coinvolgere il pubblico nella creazione di un’opera d’arte collettiva».
di Marilena Spataro
Ed è proprio su quel filone della capacità creativa umana che per Michelangelo Pistoletto l’arte si trasforma in altrettanta capacità di agire, muoversi, produrre, creare, formare. Un’idea alla quale egli ha voluto dare concreta attuazione realizzando a Biella, sua città natale, la Cittadellarte.
Cosa è esattamente, maestro, la Cittadellarte?
«Cittadellarte è la sede originaria del progetto del Terzo Paradiso; il luogo dove fare esperienza di un modo di vivere fondato su questa visione rigeneratrice. Cittadellarte è un nuovo modello di istituzione artistica e culturale che implica l'arte nei diversi settori della società».
Come e perché nasce questa struttura?
«Nell’arte moderna sono avvenuti grandi sconfinamenti, io addirittura ho fatto delle opere negli anni 70 in cui il quadro spezza anche la cornice ed esce da quello che è lo schema tradizionale del quadro. Quando la cornice si spezza, il quadro “dilaga”, invade lo spazio, gli ambiti e gli ambienti. E quando ci si trova davanti ad un quadro dilatato, esso diventa come l’acqua che non è più solo specchio, ma qualcosa che si va stendendo su tutti i territori. Quanto alle finalità della struttura esse sono di far germogliare, nel rapporto tra sentimento e ragione, delle nuove visioni del mondo, partendo, non dal calcolo economico o politico, ma da una sensibilità e da un bisogno di tipo culturale».
A che età si manifesta il suo interesse per l'arte?
«Fin da adolescente frequentando lo studio di mio padre che era pittore; lui guardava soprattutto all’arte classica, mentre io ho seguito un’altra strada. Ancora giovane decisi di andare a Milano per frequentare la scuola di pubblicità grafica con Armando Testa. Fu così che presi a guardare con interesse all’arte contemporanea, scoprendo in essa una libertà di espressione che mi consentiva di esprimere attraverso le arti figurative le mie più profonde attitudini e il mio senso poetico ed estetico in rapporto con il mio mondo interiore e con quello circostante».
All’inizio della sua carriera quali erano i suoi modelli artistici ed estetici di riferimento?
«I miei modelli di riferimento all’inizio erano rivolti al Rinascimento, in particolare Piero della Francesca, un artista che attraverso la sua straordinaria capacità di proiettare il reale attraverso la prospettiva, mi dava un senso di possibilità prospettiche che potevano essere riprese. Poi naturalmente guardavo agli artisti dell’800 e del 900 e soprattutto agli espressionisti astratti».
Lei è stato uno dei protagonisti dell’Arte povera. Quali sono stati i moventi artistici da cui nacque quel movimento e quali quelli suoi personali?
«La definizione Arte Povera non nasce con il movimento, è stata fissata successivamente da Germano Celant. Quanto alla mia volontà era quella di fare dell’arte qualche cosa di molto vicino alla realtà, molto vicino alla vita e legato alle fenomenologie primarie dell’esistenza. Che sono poi i motivi ispiratori di molti altri artisti in quel momento: si cercavano dei materiali, dei prodotti, delle concezioni che fossero fenomenologicamente primari».
A suo parere qual è la lezione lasciata da questo movimento alle generazioni successive?
«C’è un’oggettività nel lavoro dell’Arte Povera, una relazione oggettiva col mondo, con le cose, con le materie e non soltanto una posizione individualistica e soggettiva. Questi sono aspetti che vengono riconosciuti come elementi di fondo dal senso comune. Oggi i giovani, pur introducendo una nuova individualità nel lavoro, mantengono questo fondo di oggettività, di relazione con il vero, in senso non solo rappresentativo, ma come fenomeno naturale».
A proposito di giovani, come giudica l'attuale panorama artistico?
«In un certo senso è un panorama molto più libero di qualche anno fa, in quanto i giovani non sono più legati a un’attività di corrente o non la ricercano. Sono più sparsi e autonomi. C’è quindi un panorama molto meno “inquadrato” di quello esistente nel ventesimo secolo. Oggi non c’è un sistema artistico che prevalga sull’altro. Ritengo che attualmente ci sia più attenzione verso una concezione poetica ed autoreferente dell’arte figurativa, così come avviene anche nella musica e nella letteratura. Personalmente sono interessato a figure di artisti che in qualche modo seguono una strada meno autoreferenziale, più eterodossa nella loro ricerca; il mio stesso lavoro di oggi si è evoluto in una direzione ancor più oggettiva di prima, che è quella di un impegno dell’arte verso quelle che sono le problematiche della vita nella società».
Quale contributo può derivare alle arti figurative dalle tecnologie di frontiera e dall’informatizzazione dei saperi?
«L’arte è un fenomeno pubblico, anche se esprime a volte sentimenti molto privati. Quindi, questo bisogno di comunicare attraverso i nuovi mezzi mi sembra necessario, persino ovvio. Essere coerenti con il nostro tempo vuol dire anche utilizzare i mezzi del nostro tempo».
Nell’atto creativo, a suo parere, c’è anche una valenza sociale o solo individuale?
«Credo ci sia sempre una combinazione tra il sé e il mondo. Anche le tensioni, i drammi che l’arte è capace di evidenziare, sono vibrazioni che partono dall’interno, ma che provengono dall’esterno. L’esterno e l’interno dell’individuo nell’arte devono collegarsi, congiungersi».
La Sua poetica, specialmente quella degli specchianti, si può considerare come anticipatoria rispetto al percorso poi da lei intrapreso con Cittadellarte?
«Sono partito dall’autoritratto, che non è più solo il ritratto dell’artista, ma, attraverso la trasformazione della tela in superficie specchiante, è il mondo stesso che entra nell’autoritratto, per cui il mondo, la gente, la società entrano a far parte direttamente dell’opera e la penetrano. A questo punto l’opera riflette il mondo e a sua volta si riflette sul mondo: l’artista non è più solo e l’autoritratto dell’artista è anche l’autoritratto del mondo. Questo sentirsi immerso nel grande spazio del vissuto e nella grande comunità umana è il passo naturale che porta alla Cittadellarte».
Tornando alla Cittadellarte, questo progetto è intrinsecamente collegato alla teoria del “Terzo paradiso”. In cosa consiste tale teoria?
«Il simbolo del Terzo Paradiso, riconfigurazione del segno matematico dell'infinito, è composto da tre cerchi consecutivi. I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità. Cittadellarte e io, come Michelangelo Pistoletto, portiamo il Simbolo del Terzo Paradiso a reinventarsi in centinaia di installazioni realizzate da comunità in tutto il mondo. Io e Cittadellarte stessi ne progettiamo in prima persona alcune, ma la maggior parte sono opere collettive, individuali o aperte, il cui autore è la comunità che le realizza. Unico requisito obbligatorio richiesto da Cittadellarte è che la realizzazione del simbolo non sia fine a se stessa, ma sia parte di un progetto condiviso che preveda azioni con la comunità che fanno vivere i temi che il simbolo rappresenta.
La prossima missione dell’astronauta italiano Paolo Nespoli sulla ISS, la Stazione Spaziale Internazionale, utilizzerà come logo la riconfigurazione del segno matematico d’infinito, il Terzo Paradiso. Il progetto è realizzato in collaborazione con ASI (Agenzia Spaziale Italiana); ESA (European Space Agency). In questa occasione verrà anche lanciata l'APP SPAC3 sviluppata dall’ESA con RAM radioartemobile in cooperazione con l’ASI e Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, con l’obiettivo di coinvolgere il pubblico nella creazione di un’opera d’arte collettiva».
di Marilena Spataro
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