Artisti allo specchio. Il mio viaggio

Le mani nel fango con Dante negli occhi.
Di Mario Zanoni.

Serpeggia nelle tenebre, Gerione, spiega le ali e vola, poi scivola nel fango nel silente fetore infernale.
Le mani nel ‘fango’ sono un piacere negato ai bimbi, ma sono anche l’orgoglio dei tornianti faentini. Non è facile comprendere, senza esperienza diretta, cosa provano le mani immerse in questa materia fredda e appiccicosa che sembra non poter esprimere altro che la sua viscida consistenza. Il fango. Ma questa fangosa condizione invece dura poco, basta poco tempo, basta il calore delle mani e l’acqua lentamente evapora lasciando tra le dita quella materia molle ma consistente, malleabile e plasmabile all’infinito a cui un pensiero, un sogno, finalmente darà forma.
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Inutile ricordare che il primo ad usare questa, diciamo, materia fu, a suo tempo, ‘Nostro Signore’ con risultati a volte deprecabili, figure antropomorfe incapaci di esprimere quel che natura prevedeva, a volte invece parve che quasi l’intera potenza divina si potesse manifestare attraverso una creatura umana. Lo conferma il fatto che alcuni di questi ‘geniali’ seppero trasformare sogni e sentimenti in qualcosa che, al sentire umano e forse anche divino, fosse paragonabile alla stessa meravigliosa natura del creato. Sottolineo ‘sentimento’ inteso come fede, volontà di azione, perseveranza nell’intenzione. Da non confondere, mi sia consentito il dire, con l’emozione, elemento deleterio per chi si pone, nella propria creatività di orientare la sua opera verso la più alta aspirazione, quella tensione spirituale che scaturisce dal profondo e che ha il potere di elevare, per chi ne gode, a diventare lui stesso parte dell’opera. Ho pianto, ebbene sì, la prima volta che nella galleria dell’Accademia di Firenze mi trovai di fronte al David, ma l’emozione non era tanto legata all’opera in sé quanto nel mio percepire quello che Michelangelo era magistralmente riuscito ad esprimere in quel gigantesco pezzo di marmo, l’emozione di un giovane di fronte ad una sfida impossibile, armato di una rudimentale fionda, la tensione di ogni muscolo del corpo, il volto teso, ma sereno, la paura della sfida, ma anche il coraggio di sfidare. Non la magia della tecnica, ma il dramma che l’autore ci racconta arriva dritto al cuore.
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Come l’emozione non ha cervello, il pensiero non ha cuore. Il sogno, l’intuizione, l’idea recano, in potenza, la sacralità dell’intenzione e tuttavia, essere fedeli a ciò che si è concepito non sempre è impresa facile, a volte è sacro sacrificio. Non ci sono parole, per descrivere a coloro che non hanno avuto la tenacia di ammuffire in biblioteca o esegeti, filosofi, ermetici ermeneuti, secoli di timore reverenziale, baratro della ragione ed apocalisse dell’emozione, l’infernale e paradisiaco delirio della Commedia dantesca. Il “sommo poeta” è sacro ed intoccabile, ogni sua parola, verso o canto va studiato ed interpretato. Nasce così la figura del “dantista”, professione ancora oggi molto in voga. Il primo di loro fu un tal Giovanni Boccaccio da Certaldo che pare abbia diligentemente ricopiato il manoscritto di Dante e già qui si alza il venticello della calunnia; conoscendo il ‘certaldese’ come letterato di alto profilo, nonché umanista e spirito creativo, possiamo essere certi che la copia sia specchiatamente identica all’originale? Il Sommo, a mio parere, con la Commedia, lancia una sfida a se stesso ma anche al mondo a cui appartiene, a quel medioevo cristiano che non sa ancora dimenticare l’antico retaggio pagano ancorché impegnato nelle infinite dispute tra potere temporale e laicità dello stato.
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Cosa ci fa, quindi Gerione re dell’Eritea, oltretutto ucciso da Eracle, quindi non punibile, nei pantani infernali? La Commedia contiene, in armoniosi racconti poetici, fatti reali, personaggi mitici, epiche gesta senza che Dante senta minimamente il bisogno di motivarne la presenza, ci sono perché ce li ha messi, e basta. La creatività non si domanda perché esiste, ma potrebbe dare mille risposte, anche se tutte false. La mia fascinazione sull’opera di Dante nasce da questo, raccontare una storia non perché vera, ma solo perché mi piace ed ho voglia di raccontarla. Mitici racconti, leggende di eroi divenuti archetipi hanno da sempre ispirato il mio lavoro, l’opera di Dante in un certo senso ribalta la prospettiva e fornisce una visione surreale dove mito e realtà si confondono lasciando uno spazio immaginario in cui tutto è pos- sibile ricreare ed è tutto vero e tutto fantasia. Ma a quel punto, che importanza ha?