Il mito di Venezia. Da Hayez alla Biennale

Novara, Castello Visconteo Sforzesco.
30 ottobre 2021 – 13 marzo 2022.
a cura di Silvana Gatti

A Novara l’autunno artistico si apre, dal 30 ottobre 2021, con la mostra “Il mito di Venezia. Da Hayez alla Biennale”, curata da Elisabetta Chiodini con un prestigioso Comitato scientifico diretto da Fernando Mazzocca in collaborazione con Elena Di Raddo, Anna Mazzanti, Paul Nicholls, Paolo Serafini e Alessandra Tiddia.
Sulla nascita della città di Venezia c’è un grosso punto interrogativo, ed il 25 marzo 421 è stato decretato come il giorno ufficiale della sua fondazione, secondo quanto scritto nel Chronicon Altinate dell'XI secolo, detto anche Origo civitatum Italie seu Venetiarum, una raccolta di documenti e leggende sull’emergere della città lagunare e sull’origine dei veneziani. Lo scritto non ha un valore storiografico assoluto, ma è comunque la fonte sulla base della quale si è deciso di fissare convenzionalmente una data di riferimento che oggi permette di festeggiare i 1600 anni della città lagunare con questa interessante rassegna proposta da Mets Percorsi d’arte, dalla Fondazione Castello e dal Comune di Novara.
hayez 1












Il percorso espositivo prende inizio con diverse opere dei grandi maestri che hanno operato nella città lagunare nel corso dei primi decenni dell’Ottocento, esercitando la loro influenza sulla pittura veneziana nella seconda metà del secolo. Sono ottanta le opere esposte, distribuite in otto sale nella splendida cornice del Castello Visconteo di Novara per raccontare il mito veneziano a partire da una ricca selezione di dipinti del grande Hayez, opere spesso mai viste perché provenienti da prestigiose collezioni private.
La prima sala è dunque dedicata alla pittura di storia, considerato il “genere” più nobile della pittura, con cinque importanti lavori di Francesco Hayez (1791-1882), tra cui la splendida Venere che scherza con due colombe (1830). Quest’opera, un olio su tela di grandi dimensioni: 183 x 137 cm, è considerata un capolavoro della pittura ottocentesca, grazie alla sua bellezza intrinseca ed al suo innegabile valore storico. Ad impersonare la dea è la ballerina Carlotta Chabert, amante del conte trentino Girolamo Malfatti, committente del dipinto. Nella tela la donna presenta il corpo languidamente nudo, voluttuoso, morbido e procace, e durante l’esposizione di Brera del 1830 l’opera suscitò scandalo e fomentò una diatriba tra il partito dei romantici, patrocinatori dell’opera, e quello dei classicisti, indignati dall’esibizione provocante del corpo formoso della modella. Notevoli le affinità del dipinto con la Venere Italica di Canova, bellissima statua decantata dal Foscolo quale incarnazione dell’amore fisico: “Io dunque - racconta il poeta in una lettera a Sigismondo Trechi - ho visitata, e rivisitata, e amoreggiata, e baciata e (ma che nessuno il risappia) ho anche una volta carezzata questa Venere”, creatura in cui convergono “quelle grazie che spirano un non so che di terreno, ma che muovono più facilmente il cuore”. In contrasto con il classicismo di inizio Ottocento, Hayez va verso un audace realismo riscontrabile anche in un altro dipinto esposto in questa mostra, Ritratto di Gentildonna (1835), che probabilmente raffigura la Contessa Emilia Morosini Zeltner. L’importanza del dipinto è dovuta all’eccezionale abilità di Hayez di ritrarre il personaggio. I contrasti fra le zone chiare del volto e le parti scure occupate dalla chioma, dagli occhi e dal prezioso abito della nobildonna, danno all’immagine la tridimensionalità, esaltata dal colletto in organza svolazzante e dalla delicata sensualità del décolleté che si intravede sotto la camicetta trasparente. L’immagine della nobildonna milanese è caratterizzata da un atteggiamento fiero e reale, lo sguardo vigoroso ed il viso intelligente e nobiliare svelano una grande profondità umana e morale. Sempre di Hayez è l’imponente Prete Orlando da Parma inviato di Arrigo IV di Germania e difeso da Gregorio VII contro il giusto sdegno del sinodo romano (1857).
hayez 2












Sempre nella prima sala, sono esposte opere di Ludovico Lipparini (1800-1856) e Michelangelo Grigoletti (1801-1870), artisti di rilievo nonché figure chiave nella formazione di importanti autori della generazione successiva, anch’essi presenti in mostra, quali Marino Pompeo Molmenti (1819-1894) e Antonio Zona (1814-1892).
Nella seconda sala sono esposte opere di autori, non solo veneziani, che hanno contribuito alla trasformazione del genere della veduta in quello del paesaggio. Tra questi il grande pittore bellunese Ippolito Caffi (1809-1866) con due splendide vedute veneziane, Venezia Palazzo Ducale (1858) e Festa notturna a San Pietro di Castello (1841 circa). In quest’ultimo dipinto le case sono riprodotte con fedeltà, ma quello che colpisce è l’atmosfera notturna, con eccezionali effetti e contrasti di luce: la luce naturale della luna, velata dalle nuvole, crea un alone di luce più chiara, che accarezza il mare, mentre quella artificiale dei fuochi, una luce più calda, illumina le facciate delle case esaltando le ombre create dai personaggi in strada. Gli stendardi sventolano, i personaggi sono resi con tocchi veloci di pennello mentre dal mare arrivano le barche e le gondole.
Si prosegue con opere di Giuseppe Canella (1788-1847), Federico Moja (1802-1885) e Domenico Bresolin (1813-1899), quest’ultimo tra i primi ad interessarsi anche di fotografia e già nel 1854 indicato tra i soci dell’Accademia come “pittore paesista e fotografo”. Titolare dal 1864 della cattedra di Paesaggio, Bresolin fu il primo a portare gli allievi a dipingere all’aperto, sia laguna che nell’entroterra, affinché potessero studiare gli effetti di luce e confrontarsi sulla resa del vero in un ambiente nuovo, diverso da quello codificato dai grandi vedutisti del passato. Tra loro si ricordano Guglielmo Ciardi (1842-1917), Giacomo Favretto (1849-1887), Luigi Nono (1850-1918), Alessandro Milesi (1856-1945) e Ettore Tito (1859-1941).
La terza sala è dedicata a Guglielmo Ciardi, apprezzato paesaggista veneto che frequentò anche il cenacolo dei Macchiaioli al caffè Michelangelo di Firenze. Di famiglia agiata, amava dipingere le atmosfere veneziane e lagunari senza attenersi alle regole accademiche ma seguendo il suo stile personale. In questa sala sono esposte ben dodici opere che, come in una mini mostra monografica, partendo dagli anni sessanta dell’Ottocento documentano l’evoluzione della sua pittura fino ai primi anni novanta. Sua la magnifica Veduta della laguna veneziana (1882), in cui la prospettiva è resa grazie alle gondole che si spostano diagonalmente verso destra mentre altre barche, ormeggiate in riva, arricchiscono il quadro con i colori sgargianti delle loro vele. Tra le altre tele di Ciardi, spiccano quelle ambientate nei dintorni di Venezia o scorci della città come il bellissimo olio Mercato a Badoere (1873 circa).
hayez 3
















Nelle sale successive il visitatore trova opere che hanno per tema la vita quotidiana, gli affetti e la famiglia come Il bagno (1884) di Giacomo Favretto, artista nato da una famiglia di umili origini nel 1849, dotato di un precoce talento in virtù del quale venne avviato dal padre agli studi artistici, anche grazie all’aiuto di alcuni benefattori. Ricevette le prime nozioni nello studio del pittore Vason e nel contempo studiò la collezione privata del conte Antonio Zanetti, proprietario della casa di San Cassiano dove abitava con la famiglia. Entrato nel 1864 all’Accademia di Belle Arti di Venezia, ricevette numerosi premi dal 1866 al 1870, una menzione d’onore l’anno successivo e un incarico come supplente per gli elementi della figura dal 1877 al 1878.
Proseguendo nel percorso della mostra, Alle Zattere (1888) di Pietro Fragiacomo è un’opera che porta il visitatore in un tempo in cui le donne indossavano lunghe gonnelle e coprivano le spalle con scialli variopinti, mentre i bambini erano vestiti con eleganza, come questa bimba vestita di bianco che, in primo piano, sembra chiedere il permesso alle donne per fare qualcosa. Esposti anche Mattino della domenica (1893 circa) e La signorina Pegolo (1881) di Luigi Nono; Girotondo (1886) di Ettore Tito. Sul mondo del lavoro scorrono altre opere vivaci e ricche di dettagli con protagonisti contadini, lavandaie, raccoglitrici di riso, venditori di animali, sagre e mercati, come La raccolta del riso nelle terre del basso veronese (1878) e Il mercato di Campo San Polo a Venezia in giorno di sabato (1882-1883) di Giacomo Favretto; il malinconico paesaggio Verso sera presso Polcenigo (Friuli) (1873) di Luigi Nono; Lavandaie sul Garda (1888) e Raggi di sole ((1892) di Ettore Tito.
E per chiudere questa triplice sezione di vita quotidiana alcune tele dedicate agli idilli amorosi, un soggetto a metà strada tra il genere e il vero molto amato e frequentato dai pittori del secondo Ottocento: al bellissimo Idillio (1884) di Luigi Nono, si aggiungono tele con indimenticabili figure di giovani fidanzati e sposi di Favretto, Tito, e di Alessando Milesi con un altro Idillio (1882 circa) e Corteggiamento al mercato (1887 circa).
La settima sala è interamente dedicata a Luigi Nono e offre un focus su una delle opere più celebri del pittore, il Refugium peccatorum, un’opera fondamentale dell’Ottocento europeo, la cui fortuna critica ha permesso al cosiddetto rifugio dei peccatori di trasformarsi da semplice soggetto a vero e proprio simbolo. Nella scena del dipinto è raffigurata una giovane ragazza accasciata davanti alla statua della Vergine Maria, ritenuta il rifugio di tutti i peccatori. L’opera è ambientata presso la Fondamenta del Vescovado a Chioggia e Luigi Nono ne realizzò diverse versioni. Oltre alle opere del 1881 e del 1883, grandi tele condotte ad olio, sono esposti studi, disegni ed altre significative opere di confronto, come Le due madri (1886), opera ritrovata qualche anno fa in una collezione privata e di cui esistono diverse versioni.
hayez 4














La versione qui presentata, che dalla firma e data per esteso “NONO 1886” probabilmente era destinata a una esposizione o a un collezionista straniero, spicca per la qualità della composizione, la delicatezza del cromatismo e il pathos della scena. Sulla balaustra della Madonnina di Chioggia, una mamma con il bimbo in braccio accarezza in segno di preghiera il piede della statua della Madonna. Ha smesso di piovere, come si evince dal pavimento che presenta ancora numerose pozze d’acqua, sulle quali il cielo si specchia. Su una lanterna è appeso un variopinto mazzolino di fiori. Il cielo al tramonto è colorato di rosa in segno di speranza ed è impreziosito dal volo delle rondini. è un artista catartico, Luigi Nono, al punto di realizzare anche un dipinto, Il bambino malato, in cui in un interno rustico e povero una mamma abbraccia teneramente il figlioletto infermo.
L’ottava e ultima sala della mostra è dedicata alle opere realizzate dai medesimi artisti tra la fine degli anni novanta dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, tele di ampio respiro che documentano il rinnovamento della pittura veneziana in seguito al confronto diretto con la cultura figurativa dei numerosi pittori stranieri che partecipavano alle nostre Biennali Internazionali d’Arte. Spiccano Il Bucintoro (1902-1903 circa) di Guglielmo Ciardi; Visione antica (1901) di Cesare Laurenti; Piazza San Marco (1900 circa) di Pietro Fragiacomo; Luglio (1894) e Biancheria al vento (1901 circa) di Ettore Tito.
Una mostra da non perdere, ricca di opere importanti che raccontano Venezia e l’evolversi della pittura italiana dalla metà alla fine dell’Ottocento, verso i fermenti che caratterizzeranno i primi del Novecento.
Altro in questa categoria: « A. R. Penck L’arte concreta »