Emre Yusufi

Intervista rilasciata a Giorgio Bertozzi

Siamo nello studio di
Emre Yusufi che presenta
in esclusiva opere d’arte
eccezionali. Qui si ammirano
tante opere esposte, arrivano
molti visitatori e si ascolta
musica reagge.
gluttony

Emre Yusufi è stato uno dei nomi più citati a Contemporary Istanbul di settembre. La scultura di Ercole con i guantoni dorati in mostra nello stand della Galleria Mack Hachem è divenuta una delle opere più ammirate e condivise su Instagram. Yusufi ha studiato grafica presso la Marmara University e arte all’Accademia Italiana di Firenze ha poi lavorato nel settore pubblicitario per diversi anni. Negli ultimi tre si è concentrato esclusivamente sull’arte e sulla musica. Le opere che ha prodotto, sfruttando tutte le possibilità che la tecnologia offre, sono piuttosto inusitate.
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Puoi parlarci delle tue tecniche di produzione?

Provengo dalla tradizione dell’advertising, per cui le mie tecniche derivano sempre dalla grafica pubblicitaria. Ho sempre sfruttato i vantaggi tecnologici che derivano dalle tecnologie digitali che vengono utilizzate relativamente poco. Inizialmente producevo lavori destinati al mercato pubblicitario, ma dal momento in cui ho deciso di concentrarmi sull’arte, la produzione artistica è divenuta il cuore della mia attività. Adesso spendo la maggior parte del mio tempo facendo arte. Anche le tecniche alle quali mi sono affidato sono cambiate negli anni. All’inizio usavo concetti che erano più vicini al mondo della comunicazione commerciale, poi mi sono allineato di più all’arte vera e propria. I mezzi e i materiali di cui mi servo sono variati col passare degli anni. L’ultima espressione artistica a cui sono giunto è la scultura.
Come fai a dar vita a un’immagine che hai modificato?
Ho bisogno di foto di riferimento. Ad esempio, immaginiamo che ci sia una scena. C’è anche una persona in questa scena. Ho comprato i diritti di questa foto, ho pagato il copyright. E adesso sto manipolando il mio modello tridimensionale all’interno della foto senza cambiare lo stile generale e il bilanciamento dei colori di questa scena. Ci sono talmente tante cose che è necessario sapere in una situazione come questa. Bisogna conoscere il calore della foto, I valori della temperatura dei colori, e sapere la direzione da cui arriva la luce. Sto parlando delle regole base dell’educazione artistica appresa in università. Quando intervieni in una foto sapendo queste cose essa non sarà un artificio.
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Organizzi la tua produzione attraverso titoli diversi?

Ho quattro collezioni. Una di queste è Return to Innocence, il ritorno all’innocenza. Si tratta di persone con grandi occhi spalancati. Gli occhi sono l’uni-co aspetto facciale che non cresce dal momento in cui un essere umano nasce. L’innocenza dei bambini è comunicata dalla proporzione dei loro occhi con il resto del viso. E se gli occhi degli adulti crescessero come il resto del loro corpo? Ho provato ad ampliare gli occhi di persone adulte per far sentire la loro innocenza. In realtà il mio progetto iniziale era di utilizzare dei prigionieri come soggetti. Avevo progettato di mettere a confronto le facce e gli sguardi dei prigionieri con quelli dei bambini, ma non è stato possibile. La collezione a cui ho lavorato in seguito si chiama War Animals. Nel mondo che stiamo distruggendo con le nostre guerre gli animali non hanno modo di agire o proferir parola. Possono solo fuggire e morire. Non possono neanche reagire per cui ho rappresentato la guerra degli animali contro gli esseri umani con la mia collezione. Nelle mie opere, gli animali possono difendersi da soli. Ho anche una serie intitolata Hercules On Right che espongo al fianco di quest’ultima. La domanda a cui cerca di rispondere è la seguente: “Come farebbe un dio come Ercole a fingersi un essere umano?” Cosa succederebbe se andasse al cinema, facesse un giro in bici, praticasse qualche sport?
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Perché hai scelto Ercole?

Se un dio volesse svolgere un compito umano, dovrebbe essere un dio che è già in grado di provare emozioni u-mane. Il padre di Ercole, Zeus, lo rende un semidio, che si innamora sempre di esseri umani e ha sempre voluto essere un uomo. Ecco il perché di Ercole. Ovviamente è stato difficile da realizzare da un punto di vista tecnico. Se hai una buona idea, ma non riesci a metterla in pratica nel modo giusto, non funziona. A volte non c’è un’idea buona, ma possiamo comunque vedere che è stata realizzata molto bene. È una cosa che ha effetto solo momentaneamente, ma non è sostenibile nel tempo. Io credevo nella mia idea, avevo molta fiducia nel risultato ma dovevo trovare il modo di metterlo in pratica. Nel momento in cui ho avuto questa idea, avevo bisogno di qualcosa di cui non conoscevo la fattibilità dal punto di vista digitale, ma sapevo che sarebbe potuto essere possibile in futuro. Infine sono riuscito a risolverlo e adesso ho raggiunto un risultato soddisfacente, ma so che posso decisamente migliorare. Cresco ogni giorno, perché il mio lavoro è artificiale, ma lo pongo all’interno di un mondo reale.
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Con la collezione di Hercules sei passato da un lavoro in due dimensioni a una tridimensionalità. Come ti sei avvicinato alla scultura?

Immediatamente dopo la scultura di Hercules che fa boxe e che ho creato per Contemporary Istanbul, ho ricevuto reazioni molto positive. Adesso ho realizzato una scultura erculea in bronzo. La sensazione tattile suscitata dal bronzo è molto bella. C’è chi dice che chi ha lavorato in due dimensioni non vuole tornare indietro una volta che ha provato la tridimensionalità. È bello sperimentare quello che oggi si può vedere in due dimensioni facendolo diventare tridimensionale.
Poterlo toccare, camminarci attorno… E se non decidi di fare scultura c’è una storia interessante che vi posso raccontare. Sono stato alla Biennale di Venezia, ed ho voluto vedere l’esposizione di Damien Hirst, questa visita ha cambiato tutta la mia percezione. Ho apprezzato talmente tante cose stupende che ho determinato di avere Damien Hirst come mio concorrente. L’emozione provata nel visitare quella mostra è per me sempre viva. La realizzazione di ciò che ho visto sarebbe un investimento molto difficile da realizzare ma io sogno comunque di poterlo fare non tanto per il volume economico o per la dimensione delle opere, ma per l’enormità dell’idea stessa. Ogni mio pensiero ed ogni mia azione mi spingono in quella direzione.
C’è anche uno studio musicale nel tuo laboratorio. Fai anche musica?
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Ho trasformato parte del mio laboratorio in uno studio musicale. C’è una ragione molto semplice. Non mi piace guidare per Istanbul, non voglio andare da un luogo all’altro, quindi la mia casa, il mio lavoro, il mio studio musicale e il mio laboratorio si trovano tutti nel raggio di due chilometri. Ho iniziato a lavorare con un gruppo musicale. Il mio gruppo si chiama Zeytin. Suoniamo musica reggae. Abbiamo prodotto un album intitolato “Merhaba Ben İnsan” (ciao sono un uomo), siamo felici di aver già superato i 100mila ascolti su Spotify.

Su cosa ti sei concentrato quando hai progettato lo studio?
Nel caso tu non lo abbia notato, i miei lavori sono molto puliti, nitidi, lisci, rifiniti, senza difetti materiali, per me la presentazione é fondamentale, perché solitamente produco lavori digitali.  Non produco sculture qui, quindi non si vede polvere, pittura o altri materiali di produzione. Ho provato a creare un ambiente con linee minimali e chiare, che riflettano la fluidità delle mie opere. Solitamente tengo qui i miei lavori, e ci sono anche alcune delle mie collezioni. Impiego lo studio anche come una piacevole area di attività.
Cambi mai la disposizione delle opere?
Si, quando vendo uno dei lavori esposti, modifico. Solitamente, però, i clienti acquistano ciò che espongo su Instagram. Per questo cambio poco la disposizione dello studio.