Les fleurs et les raisins.Trasversali allegagioni d’arte

IL VINO CHE SI FA IN... TRE!
di Alberto Gross
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Terreni color crema, l’austera fierezza di rocce levigate dalle carezze del tempo, addolcite dagli schiaffi del vento e delle piogge d’autunno che hanno dipinto i celesti pendii di un territorio tanto visivamente suggestivo, quanto capace di produrre frutti dalle peculiarità uniche ed inconfondibili. Siamo nel comune di Serrapetrona - e, in parte, in quello di Belforte del Chienti e di San Severino Marche, in provincia di Macerata - zona di produzione di un vitigno antichissimo e identitario, tanto da guadagnarsi il nome di “Vernaccia”, appellativo da ricondurre al “vernaculum” latino (domestico, del posto, della casa) e con il quale vengono riconosciute moltissime varietà di uve differenti in più parti d’Europa. Nello specifico si tratta della Vernaccia nera, vitigno non facile da coltivare e che ben poco si adatta ad altre zone ma che, a queste latitudini, l’ingegno dell’uomo è riuscito a declinare e adattare per la produzione di un vino dalle prerogative uniche, a partire dallo speciale metodo di vinificazione.
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Mentre il mosto dei grappoli appena vendemmiati procede alla fermentazione, una parte delle uve raccolte viene lasciata ad appassire in locali idonei fino a gennaio dell’anno successivo: questo secondo mosto, concentrato di grande estrazione, rubino e denso, viene aggiunto al vino dell’autunno per una seconda fermentazione, aggiungendo dolce ricchezza estrattiva alla croccante freschezza del prodotto appena vinificato. Dopo un congruo periodo di stabilizzazione, precipitazione tartarica e svolgimento della malolattica, il vino viene portato in autoclave con l’aggiunta di lieviti e zuccheri per la spumantizzazione, ovvero la terza fase di fermentazione. Abbiamo assaggiato la versione secca di Alberto Quacquarini, il maggior produttore di questo vino esclusivo con i suoi trentacinque ettari di vigneto dedicati alla Vernaccia: da viola il calice s'accende di rubino se lo si lascia attraversare dalla luce, profumi immediatamente varietali, vinosi, delicatezze di pot-pourri si complicano in una serie di suggestioni da confetture, ribes rosso, lampone, ciliegia. Il sorso, brioso ed elegante, diverte lasciando un palato profumato e chiudendo scaltro e veloce, nella quasi certezza del bicchiere successivo.
Una denominazione davvero unica che ha da poco festeggiato i cinquant'anni dal primo riconoscimento come DOC - nel 1971 - divenuto poi DOCG nel 2004, a sottolineare la volontà di proteggere e valorizzare un vino della cui deliziosa prelibatezza già si accorse quel soldato medievale che, attraversando la frazione di Borgiano, nel comune di Serrapetrona, e avendo avuto occasione di assaggiarne, pare abbia esclamato: “Domine, Domine, quare non Borgianasti regiones nostras?”.
Le nostre suggestioni, questa volta, partono da quelle tre fermentazioni per compiere i tre passi verso un delirio ripido e prorompente da menade invasata nel ribollire acido della danza dionisiaca, per poi ricomporsi nel flusso spumeggiante, ma elegantemente composto, delle raffinate Oreadi di Bouguereau, porcellane di carne viva che disegnano riccioli di volute, cremosi giochi di burro sulla schiuma vivace di un sonno soave e rosso come il diaspro. raisin 3