Nel segno della Musa

Le interviste di Marilena Spataro
“Ritratti d’artista”
Maestri del ‘900
Ivo Sassi: quando la scultura incontra l'arte
ceramica in una magica fusione tra colore e materia che genera bellezza assoluta
Come ricorda gli anni del suo esordio artistico, Maestro Sassi. Quali erano al tempo le figure di riferimento nell'ambito delle arti visive a Faenza e in Italia?
«Ho avuto la fortuna di conoscere fin da giovane un artista di grande valore, parlo di Francesco Nonni. Per me fu più che un maestro, fu quasi un padre che mi ha dato moltissimo in termini di formazione artistica e umana. Lui veniva dal cenacolo “baccariniano” il cui punto di riferimento era stato appunto quel grande artista faentino che fu Baccarini, figura di spicco nazionale che aveva portato a Faenza il dibattito che al tempo animava il mondo dell'arte italiana ed europea, specie a opera dei futuristi Balla e Boccioni, e con cui Baccarini fu a stretto contatto durante i suoi lunghi soggiorni fuori Faenza. È di questo clima artistico di grande respiro culturale che attraverso Nonni si è nutrita fin dall'inizio della mia carriera la mia anima di ragazzo inquieto e di paese, sono nato, infatti, a Brisighella, un bellissimo borgo dell'Appennino romagnolo. Ed è da qui, finite le elementari, che mi sono trasferito a Faenza per frequentare la Scuola di Disegno, dove riuscii a entrare grazie all'intervento del mio maestro elementare, Giuseppe Parini, su suo figlio Pino, che li' insegnava. In questa scuola avvenne il mio incontro con Francesco Nonni. I miei esordi artistici sono stati da pittore, provai a frequentare l'istituto ceramico Ballardini, ma con scarsi risultati a causa del mio carattere ribelle, che lo stesso scultore Biancini, che lì era docente, mi ha sempre affettuosamente rimproverato di avere. Al Ballardini insegnava pure Bucci un altro maestro della scultura ceramica. Aver conosciuto questi personaggi fin da ragazzo mi ha aiutato molto nella mia formazione.
Successivamente, una volta calmati i miei bollenti spiriti giovanili, mi diplomai al Ballardini e vi insegnai pure per qualche primavera. Sempre a Faenza ebbi la fortuna di conoscere, oltre Nonni e alcuni bravi maestri, quel grandissimo ceramista che fu Pietro Melandri. Queste conoscenze e frequentazioni mi portarono spontaneamente ad abbandonare la pittura per abbracciare l'arte della scultura ceramica. Nel ‘56 entrai nello studio ceramico di Carlo Zauli dove lavorai fino al ‘59, anno in cui decisi di mettermi in proprio aprendo una mia bottega d'arte a Faenza. E ancora oggi sono qui».
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Qual era allora il rapporto tra il mondo dell'artigianato ceramico e il mondo dell'arte a Faenza?
«A Faenza avevamo dei grandissimi artigiani ceramisti, ma pur sempre artigiani, quasi tutti legati alla tradizione ceramica, quindi alla ceramica di imitazione. A livello creativo a mio avviso abbiamo a- vuto il maestro Pietro Melandri che è stato capace di elevarsi su tutti gli altri, dando vita a opere innovative e di grande spessore artistico. Per me è stato un modello e un maestro cui guardare. Quanto al rapporto tra il mondo dell'arte e l'artigianato artistico della ceramica non esistevano dei veri rapporti. Al tempo era la bottega di Carlo Zauli a essere il punto di riferimento per gli artisti faentini, specie sul fronte della scultura. Da Zauli si respirava un'aria culturale di livello internazionale, era facile incontrare personaggi come Jo e Arnaldo Pomodoro o anche Lucio Fontana. Quel periodo e quelle frequentazioni furono determinanti per le mie scelte stilistiche e formali nel fare arte. In un clima così, dove si dibatteva accesamente sui nuovi linguaggi dell'arte e sopratutto sulla sperimentazione del linguaggio informale, ebbi l'opportunità e la fortuna di aprire i miei orizzonti e la mia mente a un mondo artistico a connotazione internazionale e del tutto innovativo. La mia scultura come la conosciamo oggi viene da lì e da quella importante esperienza culturale».
Lei si sente più ceramista o scultore?
«Io sono uno scultore dell'arte ceramica. Ho sperimentato materiali diversi, tra cui anche il bronzo. Tuttora combino spesso tecniche e materie di vario genere, ad esempio di recente ho realizzato lavori in ceramica con innesti in mosaico, con ottimi risultati. Ma per sentire, mi sento ceramista. Credo di conoscere profondamente la materia ceramica in tutti i suoi meandri più nascosti. Con il mio lavoro punto a conferire vita e corpo alle mie sculture. Penso che la ceramica abbia una importanza determinante nel combinare la forma con il colore dando espressività e conferendo un impatto visivo straordinario alle opere scultoree specie a quelle di grandi dimensioni».
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Oggi, lei, è un artista affermato e molto apprezzato a livello internazionale. Quale il segreto di questo suo successo ?
«La mia formazione come già detto, risale agli anni '50, un periodo in cui nascevano informale e astrattismo, noi giovani eravamo portati ad abbracciare queste novità, a metterci in discussione, sperimentando sempre nuove strade e soluzioni formali. Personalmente mi ci buttai anima e corpo in tal senso. Da quando ho aperto il mio studio a oggi posso affermare di aver ottenuto grandi soddisfazioni. Sono andato sempre avanti, certo la fortuna mi ha aiutato, ma la costanza, la voglia di andare oltre, di sperimentare continuamente e, soprattutto, l'amore per il mio lavoro, sono stati i miei migliori alleati, quel segreto che mi ha consentito di affermarmi ottenendo una lunga serie di prestigiosi riconoscimenti e premi anche di carattere internazionale, nonché di avere in esposizione miei lavori, tra cui molti a carattere monumentale, sia in Italia che all'estero, in strutture pubbliche e private. Tuttavia l'esposizione di miei lavori che più mi emoziona é quella presente in permanenza nel Giardino della scultura, un parco costellato di mie opere di grande formato che circondano la mia casa di campagna. É un qualcosa di personale, con un suo carattere intimo e familiare cui non rinuncerei per nessuna cosa al mondo. É la testimonianza tangibile di una vita spesa per l'arte, come è stata e come continua a essere ancora oggi la mia».
Quali i moventi artistici ed esistenziali del suo lavoro, quale la sua visione del mondo?
«Sinceramente io amo più il fare che il dire. Sulla base della mia esperienza, ribadisco che per un artista ciò che maggiormente conta è lavorare, dedicandosi alla propria attività con costanza e serietà, il che porta immancabilmente a una maturazione delle idee e questo a sua volta contribuisce a una continua evoluzione del proprio lavoro e della propria visione, a una voglia di sperimentazione che aiuta a trovare la propria identità artistica. Questo lo dico soprattutto ai giovani artisti di oggi. Quanto alla mia visione artistica, la si coglie guardando più al mio lavoro che ad altro. La mia prima esperienza è stata da pittore figurativo, specie di paesaggio, perciò ho studiato a fondo e con grande attenzione la natura cercando di cogliere il più possibile il suo significato più intimo e profondo e tutti quegli elementi di bellezza capaci di dialogare con l'animo umano. Un'impronta questa che è rimasta viva e presente nel mio lavoro scultoreo successivo pur avendo adottato il linguaggio astratto e informale. Gli elementi naturali sono presenti evocativamente in tutti i miei lavori sia nella forma che nel colore. Il mondo al quale mi rifaccio e che mi porto dentro fin dall'infanzia trascorsa tra luoghi boschivi e insieme rocciosi, spesso impervi, ma carichi di suggestioni e sollecitazioni estetiche, del mio paese della collina appenninica, è un mondo che si nutre di archetipi dove, boschi, alberi, tronchi e rami contorti, rocce, terra, cielo, fuoco, vento e ogni altro elemento naturale, nel mio ricordo, trasfigurati dalla fantasia, si animano e diventano fonte di ispirazione. Da qui alcune delle mie lunghe, robuste steli, decorate di foglie e fronde sbattute dal vento, che come alberi si innalzano verso il sole infiammandosi di rosso sanguigno, e ancora lingue di fuoco rosse e metalliche che mi- nacciose avanzano alte verso il cielo. Poi gli enormi dischi rossi e dorati come i soli incandescenti dei nostri tramonti collinari o i grandi dischi azzurri argentei come le algide stelle dei cieli nelle nostre fredde notti invernali. Tutte immagini queste, come tante altre, che mi giungono da mondi ancestrali, carichi di emozionanti misteri e che, attraversati dalla mia vena artistica, si materializzano diventando sculture».
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Oggi come vive e come si pone con il suo lavoro rispetto al mondo dell'arte contemporanea?
«Io ci sono dentro all'arte contemporanea, quella però fatta con serietà con profondità di sentimenti e con il cuore, non quella fatta di trovate, come spesso oggi avviene nell'arte contemporanea. Le trovate o le provocazioni lasciano il tempo che trovano, muoiono in breve così come sono nate. Un lavoro serio e studiato riesce, invece, a resistere nel tempo. Reputo che oggi, più che mai, l'arte debba connotarsi attraverso valenze culturali e sociali e non solo estetiche, se manca una base culturale non é possibile affrontare con serietà alcun discorso artistico né estetico. Ad esempio per fare l'informale e l'astratto, non ci si può improvvisare artisti come molti hanno pensato si potesse fare, tutt'altro! Occorre, invece, possedere una base solida nel campo del disegno e della pittura, se non si è capaci di dipingere un paesaggio difficilmente si riesce a fare arte astratta. Spesso si pensa che l'astratto sia facile, non è così: il rischio è di cadere nel ridicolo con opere improvvisate e non maturate intellettualmente. Io ho conosciuto artisti importanti del passato del mondo informale, a partire da Lucio Fontana, un personaggio di una cultura mostruosa, cultura che di certo ha contribuito a farlo diventare uno dei maggiori maestri che il '900 abbia conosciuto. Un artista se non ha una base culturale importante non riesce a decifrare il mondo di oggi. Per quel che mi riguarda, cerco di esprimere nelle mie opere proprio il mondo di oggi sia dal punto di vista emozionale che delle componenti culturali e sociali».
In un'epoca come la nostra incentrata sulla tecnologica, come vede il futuro delle arti figurative tradizionali, in particolare della scultura ceramica, e del relativo mercato?
«Sono ormai un ottantenne e come artista e uomo ne ho viste di tutti i colori. Ho, dunque, la fortuna di avere un'età rispettabile e nonostante ciò posso affermare che il mercato continua a guardare con simpatia ai miei lavori. Credo tuttavia che il mercato preso così come è oggi presenti delle negatività, specie in relazione ai giovani, che, spesso, realizzano i loro lavori con l'obiettivo di entrare a tutti i costi nel mondo del mercato dell'arte, credendo molte volte che per entrarvi sia sufficiente la trovata, ovvero fare scalpore, ma, in genere le cose non vanno così: quando si vuole stare a tutti i costi nel mercato, il lavoro rischia di non essere più genuino, non è più spontaneo. Un vero artista deve fare innanzitutto quello che sente di fare, poi, se si è bravi, prima o poi si arriva pure ad entrare nel mercato».
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Quali, Maestro Sassi, gli appuntamenti artistici e culturali che più la coinvolgono in questo periodo e quali i progetti futuri su cui sta lavorando?
«Vorrei riuscire a un progetto che ho già iniziato a portare avanti. É una grande stele di 30 metri, ad oggi ne ho realizzate fino a 20 metri al massimo, dovrebbe essere una stele gigantesca che si libra verso il cielo, che vola in un anelito di assoluta libertà e di gioia verso lo spazio e oltre il tempo. Come vede a 82 anni la mia visione continua a essere ottimista. Spero che i giovani colgano questo mio messaggio, oltre al mio appello di non aver fretta di bruciare le tappe».
Quali gli artisti di oggi che sente più vicino?
«Gli artisti della mia generazione: li guardo e mi interesso a quello che fanno e alle loro opere. Delle volte se riesco a cogliere delle intuizioni che mi consentono di fare un salto di qualità nel mio lavoro, ne tengo conto. Ben venga tutto ciò che ci può arricchire nell'arte come nella vita!».
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