Nel segno della Musa

Giampaolo Bertozzi e
Stefano Dal Monte Casoni.
Quando la cruda realtà incontra l'alchimia del fantastico e diventa arte. Nasce da qui il successo internazionale targato Bertozzi&Casoni.

Un sodalizio artistico che dura da quasi 40 anni e che in breve tempo si trasforma in un importante sodalizio imprenditoriale. Oggi la Bertozzi & Casoni è un nome di prestigio di livello internazionale nel mondo dell'arte.
Quando e come è iniziato questo percorso comune?
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«Ci siamo incontrati e frequentati nella seconda metà degli anni Settanta durante gli studi all’Istituto d’Arte di Faenza, anni in cui era forte in noi il desiderio di intraprendere un mestiere per così dire legato all’arte. L’arte per noi era ed è ancora oggi un modo di vivere. Cominciai io (Paolo), il più vecchio di circa 4 anni, ad aprire uno spazio nel 1977 che chiamai l’arte del già nato, non so ancora se per dire che era destino che ci incamminassimo per il solco dell’arte o perché riflettendo sull’artigianato e sul fare con le mani in un momento - il finire degli anni Settanta - in cui si predicava la sparizione dell’arte a noi sembrava che le mani non fossero separate dalla mente. Nel 1980 decidemmo poi di unire le nostre forze acquistando quello che è ancora lo spazio in cui lavoriamo tutt’ora chiamandolo Bertozzi & Casoni snc, un sodalizio artistico sancito da una società in nome collettivo con tanto di statuto notarile, questo perché credevamo a una sorta di autonomia dell’artista, l’artista come imprenditore unico responsabile del suo destino».
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Immaginavate di ottenere tanto successo?

«No. Ci sono stati anni difficili e anni in cui il nostro quotidiano è stato sperimentare. È stato un momento che ricordiamo pieno di speranza e di stupore in quei momenti abbiamo cercato di trovare la nostra cifra stilistica senza chiedere nulla in cambio, un momento magico che appartiene a un mondo altro...».
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Nella quotidianità come si configura la vostra collaborazione?

«Da sempre il nostro modo di lavorare è impostato sullo scambio di pensieri, sul mettere a fuoco un’idea, parlarne fino a condividerne ogni parte, il lavoro pratico viene svolto da uno o dall’altro ma mai assieme. L’unico caso in cui le mani sono state di entrambi è “Scegli il paradiso” la scultura del miracolo».
Come si è evoluto nel tempo il vostro linguaggio artistico?
«Si è radicalizzato in una soggettività sempre più stringente, in un realismo che noi vogliamo pensare magico, un po’ surreale, forse per noi un ultimo spazio di libertà espressiva».
Vi risulta che il mondo dell'arte di oggi sia in qualche modo cambiato rispetto a quello dei vostri esordi?
«È veramente tutto cambiato in una manciata di anni, il ruolo delle gallerie, la pressione delle aste, le fiere in continua espansione, l’arte assomiglia sempre di più a un prodotto finanziario più che a un prodotto dell’anima».
Quali gli aspetti dell'arte contemporanea che maggiormente apprezzate e quali quelli che vi sentite di condividere meno?
«Apprezziamo la grande apertura culturale e non condividiamo la mercificazione dell’arte che sta creando falsi miti».
Nonostante l'apprezzamento e il prestigio acquisiti all'estero e l'invito che vi giunge da più parti a trasferirvi in altre nazioni, anche oltreoceano, avete scelto di continuare a vivere e lavorare nella vostra Imola, dove vi siete formati e dove da anni svolgete la vostra attività artistica. Quali i motivi di questa decisione, amor patrio o altro?
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«Abbiamo sempre pensato che un buon radicamento potesse produrre una buona pianta, crediamo che si possa lavorare dove ci si sente meglio, è il lavoro che deve parlare al mondo, non è facile ci vuole fortuna e caparbietà».
Le vostre opere sono sempre delle sculture realizzate in ceramica. In tal senso essere cresciuti in un territorio vicinissimo a Faenza, quindi a stretto contatto con gli ambienti dell'artigianato artistico di questa importante capitale della ceramica mondiale, vi ha in qualche modo influenzato?
«La nostra formazione inizia a Faenza all’Istituto d’arte per la ceramica, abbiamo conosciuto questa tecnica negli anni scolastici e ne abbiamo fatto il nostro materiale di espressione capendo che portava in sé grandi potenzialità espressive formali».
Se da una parte i vostri lavori rimandano nella loro costruzione stilistico formale alla pop art, dall'altra non si può fare a meno di individuare non poche suggestioni surreali. Ne saltano fuori opere di straordinaria originalità e inconfondibili che ci portano dritti allo stile Bertozzi & Casoni. Quale il background artistico e culturale che ha consentito questo “miracolo”?
«Abbiamo da sempre guardato con attenzione a tutti i maestri dell'arte del passato e a tutto quello che ci circonda trovando in questo infiniti spunti per riprodurre composizioni che sono contemplazioni del presente in cui inseriamo la riflessione sulla morte».
Da qualche anno in una splendida location di Sassuolo è stato fondato il museo Bertozzi & Casoni. Con quale spirito è nato questo museo e quali gli obiettivi e i progetti che vi proponete di portare avanti?
«A dicembre 2017 si è aperto a Sassuolo alla Cavallerizza Ducale il Museo Bertozzi & Casoni un riconoscimento importante che grazie all’ing. Franco Stefani si è concretizzato. Lo spazio ospita una ventina di opere che appartengono ai momenti più significativi del nostro percorso. L’idea è di realizzare nel corso del tempo una programmazione che ci porti a confrontarci con altri autori, un dialogo che possa essere di stimolo e di discussione nel mondo culturale contemporaneo. Il primo è stato inaugurato lo scorso 14 giugno con l’esposizione di un significativo nucleo di opere in ceramica di Galileo Chini».
I vostri lavori più recenti sono quasi sempre incentrati su aspetti problematici legati alla natura e alla società del mondo di oggi. A vostro avviso l'arte oltre che all'estetica deve guardare anche all'etica?
«Nel 1979 abbiamo realizzato alcuni lavori che portavano il titolo di “minimi avanzi”. Erano delle sparecchiature sotto forma di sagoma in ceramica realizzate in un curioso puntinismo fatto di tre colori - rosso, verde, giallo - una sorta di memento mori ancora in fase embrionale. Per molto tempo abbiamo pensato che le uniche implicazioni a cui fare riferimento per creare un’opera fosse la composizione e la compenetrazione tra forma e colore, ma osservando le opere degli ultimi 30 anni quello che è evidente è che abbiamo realizzato “vanitas” e opere dove gli attori principali erano o sono animali in estinzione come ad esempio l’orso polare e il gorilla, quindi non è solo l’estetica ma anche e soprattutto l’etica che ci accompagna».
E' lecito pensare che Bertozzi & Casoni, arrivati al top dell'arte internazionale, custodiscano ancora un sogno nel cassetto che attende di realizzarsi?
«Il sogno che abbiamo nel cassetto è di essere compresi. Un bisogno che non sappiamo spiegare».