Ritratti d'artista Maestri del '900

Sfera con sfera, Foto Carlo Orsi, Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro Sfera con sfera, Foto Carlo Orsi, Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro
Intervista a ARNALDO POMODORO
Pubblichiamo, in ricordo del maestro Arnaldo Pomodoro scomparso alcuni mesi fa,
un’intervista che ci rilasciò.
E che oggi risuona come il suo testamento spirituale.
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Messaggero dell'arte e della cultura del nostro Paese. Arnaldo Pomodoro, uno dei massimi maestri del 900, con la sua genialità e il suo impegno intellettuale è anche colui che nella contemporaneità ha maggiormente contribuito a rilanciare nel mondo la grande tradizione della scultura Made in Italy.
Maestro, essere uno dei massimi scultori e artisti del'900 come la fa sentire?
«Nella mia vita ho tanto ricercato e lavorato, sempre con impegno e passione: poter esprimere la mia immaginazione, la mia creatività mi dà ancora un senso di pienezza e soddisfazione».
Che ricordo conserva della sua infanzia e del Montefeltro. Che traccia hanno lasciato quei luoghi e quella cultura sulla sua personalità di uomo e di artista?
«Sono stato molto influenzato dal paesaggio del Montefeltro: le rocce e le fenditure aspre e misteriose, tipiche del luogo, e le rocche medievali, come quella di San Leo con le mura sospese a picco, che non si capisce dove finisca la pietra e incominci l’architettura. Da ragazzo, appena potevo, scappavo e me ne andavo in giro nel territorio. Mi perdevo in quei paesaggi e su quelle colline che poi ho ritrovato nei quadri dei grandi artisti del Rinascimento, da Raffaello, a Piero della Francesca, a Bramante, a Paolo Uccello… A quei luoghi ho addirittura dedicato un’opera per me fondamentale che ho iniziato nel 1975 e terminato nel 2015: The Pietrarubbia Group, un grande complesso scultoreo costituito di più elementi, su uno dei quali ho inciso una citazione dai Mottetti di Montale, lo splendido verso: “Lo sai: debbo riperderti e non posso”, per me molto significativo».
Che rapporto ha oggi con le Marche e con i suoi ambienti artistici?
«Le mie radici sono ancora là. Nelle Marche hanno avuto luogo alcune delle mie mostre più importanti: voglio ricordare quella a Pesaro del 1971, con le sculture collocate nelle strade e nelle piazze della città e quella del 1997, dedicata a Cagliostro, allestita proprio nella Rocca di San Leo. C'è poi la storia del mio progetto del 1973 per il nuovo cimitero di Urbino, una storia troppo lunga e amara da raccontare qui. Infatti il cimitero non è mai stato realizzato con mio grande dispiacere, nonostante il progetto avesse vinto il concorso e fosse stato giudicato interessante ed innovativo da molti critici autorevoli, tra i quali Giulio Carlo Argan e Bruno Zevi».
AP_214E con le giovani generazioni?
«Ho sempre considerato importante l’insegnamento, il rapporto con i giovani studenti, cercando di ristabilire il clima stimolante della bottega, dove insieme si può sperimen- tare e progettare.
A questo proposito voglio ricordare il Centro TAM (Trattamento Artistico dei Metalli), una particolare scuola di perfezionamento nella scul- tura, nel gioiello e nel design che si svolge a Pietrarubbia, piccolo borgo medievale nel Montefeltro, istituita nel 1990 per mia iniziativa con la collaborazione delle istituzioni marchigiane, di cui sono stato direttore artistico ed ora presidente. Il TAM è una interessante esperienza artistico-didattica che intende trasferire agli allievi non solo competenze tecniche ed insegnamenti teorici, ma sensibilità estetiche, valori e visioni del mondo».
Parlando della sua arte e dei suoi lavori. Quali i moventi da cui trae ispirazione?
«La realizzazione di un’opera è per me un processo complesso che avviene ogni volta in modo differente: ad esso concorrono al contempo sia elementi emozionali che razionali. A volte l’idea mi viene dai ricordi e dalle suggestioni raccolte nei miei viaggi, o da folgorazioni suscitate da particolari situazioni, in momenti imprevedibili. Altre volte l’opera nasce su commissione: in questo caso studio a fondo ogni aspetto del luogo in cui deve essere collocata la scultura, ricevendone stimoli e visioni. Poi eseguo delle prove dimensionali con rilievi e sagome. Così è avvenuto, per esempio, con la Sfera con sfera rea- lizzata per il cortile della Pigna dei Musei Vaticani, che ha richiesto un approfondito lavoro sulle proporzioni della scultura in relazione sia con la Pigna bronzea, sia con la scala michelangiolesca, sia soprattutto con lo spazio perfetto del cortile».
La sua cifra stilistica si distingue per le inconfondibili geometrie, specialmente sferiche, forme perfette che, nella loro purezza euclidea, vedono emergere puntualmente dalle loro viscere, corrosioni, tagli, fenditure. Quale il rimando poetico e il senso escatologico di questa sua scelta stilistica e formale?
«Nei primi anni Sessanta per approfondire il problema dello spazio e mettermi a confronto con esso ho iniziato a lavorare sui solidi della geometria euclidea - cubi, sfere, e poi cilindri e piramidi - con l’intento di rompere la forma per evidenziarne l’interno misterioso e complesso e metterne in dubbio la perfezione e la simbologia. Ai solidi geometrici si possono, infatti, associare precisi e specifici significati simbolici: ad esempio, la piramide rappresenta il potere, la colonna può essere il tempio o la base dove collocare una scultura. In particolare la sfera è la forma perfetta, magica. La sfera è un oggetto meraviglioso, perché riflette qualsiasi cosa ci sia attorno e crea contrasti tali che a volte si trasforma e non appare più, resta invece il suo interno, tormentato e corroso, pieno di denti e di grovigli».
Perché ha scelto il bronzo come materiale per esprimersi artisticamente?
«Tutti i metalli mi affascinano: ne ho utilizzati diversi fin dall’inizio della mia attività (piombo, stagno, ferro, rame, argento…). Ma il bronzo - che preferisco lucido e non patinato - è, in particolare, il materiale più congeniale al mio linguaggio artistico, quello che meglio esprime i contrasti propri delle mie sculture con squarci e rotture interne. E il mio modo di lavorare che riprende il metodo classico della fusione a cera persa e la particolare cura nell’esecuzione contiene in sé la tradizionale capacità inventiva e lavorativa artigiana, mentre il legame con la tecnologia è un senso di apertura che nutro nei confronti delle nuove invenzioni».
Che rapporto intercorre tra l’opera di scultura e lo spazio urbano?
«è importantissimo: infatti, la scultura all’aperto, tra la gente, le case, il verde, le vie di tutti i giorni dà nuovo valore all’ambientazione architettonica o spaziale e cambia il modo di percepire e vedere una piazza, un ambiente, un paesaggio. L’opera diviene come una creatura vivente, che muta nel volgere della luce e delle ombre, ma anche nell’incontro con le persone, creando un inconsueto dialogo che lega in modo inedito opera e fruitore. L’opera diviene così patrimonio di tutti e acquista una valenza testimoniale del proprio tempo: riesce a improntare di sé un contesto e lo arricchisce di ulteriori stratificazioni di memoria».
SONY DSCQuando e come nasce il suo interesse per il teatro?
«Fin da giovane mi sono appassionato alla lettura dei testi teatrali classici e moderni e mi sono interessato alla scenografia. Il teatro è stato per me una fonte di rivelazioni in termini di ideologia, mito e forma e, specialmente nelle sculture di grandi dimensioni, mi ha incoraggiato e persino ispirato a sperimentare nuovi approcci e nuove idee per le opere progettate per luoghi specifici, in cui relazioni con l’ambiente fisico circostante, paradigmi culturali e funzioni utilitaristiche possono giocare un ruolo importante. In alcuni progetti per la scena, soprattutto nel caso di testi classici, ho realizzato grandi macchine spettacolari da cui poi ho tratto vere e proprie sculture. In altri casi, per le mie scenografie, ho preso lo spunto da progetti di sculture non realizzate».
Oggi l'arte si esprime prevalentemente attraverso performance, video, istallazioni, sperimentando tecnologie di ogni tipo, specie informatiche. Che ne pensa di tutto ciò. Queste forme espressive si possono ancora catalogare come arte?
«è proprio della ricerca inventiva il ritrovamento di soluzioni espressive attuali, insieme consecutive ed aperte, come nei grandi esempi storici. Il rapporto con la materia e con il mezzo espressivo è diventato oggi assolutamente libero e variegato: si sono utilizzati il tessuto, il vetro, la carta di giornale, la gomma piuma, i neon, gli oggetti d’uso, i materiali di recupero, fino ai rami, ai semi, al corpo, al video, alla performance… L’importante, secondo me, è escludere operazioni di pura spettacolarizzazione, ripetitive, commerciali e finalizzate a seguire le mode e i gusti del momento.»
Qual è la visione del mondo di Arnaldo Pomodoro?
«Per me fare “arte” è un atto di libertà che si deve compiere in modo semplice e rigoroso senza alcuna visione strumentale. Un artista deve sempre poter esprimere la sua immaginazione, la sua creatività, per realizzare il proprio lavoro e rendere “forma” artistica la nostra situazione umana».

Foto 1: Progetto per il nuovo cimitero di Urbino, Foto Antonia Mulas, Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro
Foto 2: Sfera n. 1, Foto Aurelio Barbareschi, Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro
Foto 3: The Pietrarubbia Group, foto Jerry L. Thompson, Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro