Aleardo KOVERECH. Il ragionato sentimento del pittore.

di Giorgio Barassi.

“Ciò che si vede dipende da come si guarda.
Poiché l’osservare non è solo un ricevere, uno svelare, ma al tempo stesso un atto creativo.”

(Søren Kierkegaard)
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C'è un’aria di antico e di futuribile, nelle opere di Koverech.
O forse la tendenza a pensare al domani, a quello che sarà, condiziona positivamente le scelte di questo artista che calibra ogni passaggio della sua costruzione con una saggezza da antico pittore ed una cura da narratore di vicende passate. La realtà è che, attraverso immagini del quotidiano e della sua Roma, Koverech lascia trasparire una preparazione accorta ed una atmosfera che richiama all’intimismo ed a quella pittura che si credeva dimenticata, come fosse avvolta in una rete di nostalgie e silenzi che un forzato ottimismo vorrebbe scacciare coi colori più decisi.
Invece Koverech, che legge ottimisticamente le ragioni della storia, colloca mezzi e protagonisti moderni nella antichità di Roma, coglie lati ed angoli di visuale non tradizionali, mai banali o triti. Insiste sui temi di un galleggiamento della nostra società in un ambito che mai potrà prescindere dalla storia e mai dalle fatiche degli uomini che costruirono paesaggi eterni.
Non solo la sua città, ma anche paesaggi a metà tra l’immaginario ed il visitato, atmosfere brumose da cui si individua in fondo una luce ed una speranza, nessun paesaggio abbacinante, né tristi grigiori metropolitani. Il giusto modus in rebus che colloca Aleardo Koverech fra gli artisti più significativi di una ricerca che scava nel paesaggio urbano e nel sociale insieme, affrontando la vicenda con una disinvoltura artistica propria di chi ha talento. A spiegare autorevolmente il lavoro di Koverech ci si sono messi in tanti. E senza volerli scomodare tutti, basta una terna di nomi altisonanti (non solo della pittura) a fare da nobilissima presentazione. Franco Ferrarotti, sissignore, proprio lui, sociologo e docente emerito di sociologia, scrisse di Koverech nella rivista “La critica sociologica” nel numero di gennaio-marzo 2002: “…la pittura di Aleardo Koverech corrode la certezza meccanica dei sistemi chiusi, de-dogmatizza le fedi indossate per abitudine come abiti confezionati in serie per tutti e nessuno…”. Una più che valida testimonianza dell’efficacia di una analisi non superficiale.
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L’artista non costruisce solo le sue opere, ma smonta la culla delle banalità comode, dunque. E così altri due nomi. Pittori. E che pittori…Renzo Vespignani (da cui ha carpito il segreto dell’afrore malinconico ed affascinante degli sfondi al paesaggio urbano) riferisce della materialità del colore di Koverech, parla di un mondo visto dall’artista come “…una scheggia lavica ancora calda…” e chiude con una certezza che è il credo di Koverech: “…egli non è attratto dal significato della realtà ma dalla possibilità che, alla fine del viaggio, la realtà ne avrà uno. Assoluto.”
Verrebbe da scrivere un “amen” a caratteri cubitali. Non basta. Alberto Sughi (giù il cappello, prego) parla di “rovello”, di “inesausta passione”, di emozione davanti alla tela, di “…gioco difficile delle attese e dei silenzi…”. Ed è lì che il cerchio, finalmente, si chiude attorno agli elementi fondanti della pittura di un sognatore che non dimentica di essere uomo di scienza e coscienza, essendo medico che immaginiamo comprensivo e coscienzioso. Passione, tecnica, temi importanti, energia. Tutto questo, da quei paesaggi urbani rubati alla memoria dell’attimo al semaforo, da quelle moto ferme in attesa che il mondo riprenda la sua corsa, emerge in maniera evidente. Nondimeno si manifesta una semplice carezza alla sua Roma, che la fa da protagonista facendo fiammeggiare le monumentali meraviglie sotto ed a fianco alle quali l’uomo passa quasi ignaro, distrattamente vivendo un percorso frenetico, sempre più privo di sentimento.
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Perciò Koverech è pittore di sentimento. Un romantico come gli scrittori del Romanticismo: passionale, emozionale, autentico. Limitato nello slancio dal giusto e doveroso rispetto delle regole della tecnica, che conosce bene ed utilizza arricchendo, ingrossando la materia del colore o diluendola in un soffio lieve di cromìe puntuali, che sembrano aver atteso di essere messe proprio lì, fra un Cupolone ed una antica palazzina patrizia. Fa niente se a occultarne il godimento, seppur parzialmente, ci siano mezzi moderni, segnali stradali, impalcature (e dunque ostacoli), sampietrini accumulati in attesa di ricollocazione. Il cuore è enormemente più possente della cronaca del sociale, e si capisce dalle sue opere.
Recentemente, due sue opere di arte sacra hanno fatto il loro ingresso nella parrocchia di S. Ignazio di Antiochia a Roma. Una immagine della Madre di Dio ed una Annunciazione notevoli. Quest’ultima è un riassunto chiaro delle capacità di Koverech. Allo schema classico della Annunciazione alla Madre, aggiunge, in alto, una nuvolaglia densa di policromie modernissime, una descrizione dello spirituale fatta ai ritmi della attualità, nel rispetto delle sacralità della pittura religiosa. Koverech porta con disinvoltura e fierezza la bandiera di quella meraviglia che nel mondo chiamano Pittura Italiana.
E ne siamo orgogliosi.