Fausto Minestrini. Il monello artista supremo.

di Giorgio Barassi.

“Il genio crea concordanza
tra il mondo in cui vive
ed il mondo che vive in lui”

(Hugo Von Hofmannstal)
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Nessuna esagerazione. Supremo. È giusto dare a Fausto Minestrini da Perugia un titolo adeguato alla significativa e straordinaria carriera di artista geniale ed inconfondibile, amato da chi non sta alla corte delle convenzioni e mai consegnatosi alle convenienze del mondo dell’arte. Un irregolare, direbbero i benpensanti. Un geniale artista dal grande talento e dalla voglia di stupire e stupirsi che è la radice del suo percorso. Avventura lunga che ha radici nei bei tempi della pittura, quando a gareggiare erano quelli che ci mettevano soprattutto coraggio. Minestrini è ormai uno di quegli artisti che si lasciano individuare con facilità dal cosiddetto “fruitore”. I suoi bagliori di luci che animano le macchie di colore delle opere dai grandi o piccoli formati sono un segno distintivo che non individua solo la riconoscibilità, ma anche, e soprattutto, una popolarità eletta, quella che i geni raggiungono al costo di notti insonni spese in sperimentazioni, ripensamenti, cambi di rotta praticati dentro il proprio mare di talentuosa e forte capacità creativa.
Un vecchio mulino ad acqua, nel cuore dell’Umbria, è la sua casa, e Minestrini ne ha ricavato uno studio che somiglia all’antro di Vulcano, distruttore dio del fuoco, Efesto per i Greci, in cui le fiamme ed il forgiare opere come armi affilate sono di casa. Dal fuoco del supremo Minestrini escono le combustioni, le variazioni sugli effetti di certi colori che paiono nati solo lì dentro e danno corpo ad opere in cui giganteggia la genialità, più volte richiamata qui a ben ragione, del decidere come e dove possa essere classificato il suo lavoro. Nell’informale certamente. Ma aggiungiamoci la singolarità e la unicità di uno stile che è così cangiante in alcuni aspetti da essere via via diventato sempre più inimitabile.
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I suoi schizzi di colore pieno e via via affievolito, l’aggiunta di antichi manoscritti, tessuti, merletti, foglia oro ed altre autentiche diavolerie (non a caso la località in cui vive Minestrini si chiama Casa del Diavolo, frazione di Perugia) galleggiano fra i celesti ed i rossi che sembrano sottratti alle tinte usate dai Maestri del passato per dipingere le maestose Madonne, retaggio di una scuola di pittura alla quale l’artista ha guardato certamente. I supporti sono spesso lignei, come usava secoli fa, e la tela sembra perfino troppo fragile per contenere le esplosioni della potenza del colore che Minestrini elabora a suo piacimento, perché ne possiede il segreto, dopo anni in cui ha mescolato, diluito, aggiunto. Un movimento creativo perpetuo ed incontrollabile che ha generato una notorietà raffinata, fino alle richieste da oltreoceano, dove i suoi dipinti sono stampati su elegantissimi foulard di leggero cachemire, ad esempio.
Al Mulino della Roscia, nel suo atelier, ha fondato un centro Artistico Culturale che è anche scuola di pittura e luogo di incontro con gli artisti. Sembra davvero di tornare ai secoli passati, quando il Maestro era quello seguito per i consigli essenziali, pur potendo dispensare direttive, indicazioni certe che non limitano l’allievo ma lo indirizzano nel cammino giusto. Minestrini ha dipinto e dipinge perché la sua ricerca non ha fine, e lui lo sa. I cannelli che sparano fiamme direzionate con calma e pazienza sono il suo accessorio preferito, lo strumento che gli riporta alla mente un illustre suo corregionale, l’immenso Alberto Burri, col quale ha intrattenuto un buon rapporto di rispettoso scambio. Eppure, laddove chiunque elargirebbe aneddoti e racconti, Minestrini non dice. Burri è stato un grande del Novecento e Minestrini, che ne conobbe aspetti professionali e umani, non vanta cotanta amicizia, la tiene segreta come fa chi ha per davvero conosciuto e non ha bisogno di dirlo. Il fatto diventa chiaro quando, a volte, nelle opere del genio del Mulino, appaiono brandelli di sacchi e combustioni.
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Non è un omaggio, né un richiamo, né altro. È cosa di Minestrini, sua propria. E le analogie o le attinenze non hanno senso. Semmai è un voler prolungare il braccio di una ricerca nata in altri tempi, quello sì. Dopotutto dalle sue parti si tracciò la strada del Rinascimento Umbro, sublimazione della fatica di alcuni straordinari artisti. E dunque quella aria rarefatta che circonda le più belle opere di quel tempo così lontano sembra circondare, nel silenzio della campagna, le magnifiche invenzioni di questo artista che chiamare supremo è giusto. Perché al genio va riconosciuto il coraggio di essere stato vitale quando attorno tutto taceva, coerente mentre altri cambiavano direzione, saggio dispensatore di tecnica quando prevale l’egoismo, silenzioso pittore che lascia esplodere in un fragore inconfondibile la potenza del gesto che dà il colore ricercato, raffinato, assolutamente inconfondibile.
Fausto Minestrini ha una profonda passione per il gioco del golf. E davvero non stentiamo a credere che nei silenzi del green si metta a pensare quel che poi elaborerà nel suo antro, dopo aver gustato una vittoria. Lo spazio verde è solo un pretesto per riflettere con la calma e la giustezza che quello sport richiede. Nel costruire le sue opere, però, prevale la trance artistica, solo un po’ stemperata negli anni da una saggezza che non può frenare la corsa di un geniale monello della pittura.