Art&Vip
Intervista a Isabelle ADRIANI
Icona del cinema
a cura della redazione

Isabelle Adriani è un’artista eclettica che vive l’arte come un linguaggio universale: attrice, doppiatrice, cantante e scrittrice, ha sempre cercato di trasmettere emozioni attraverso voce, corpo e immaginazione. Per lei recitare significa donare energia e sguardo al pubblico, mentre il doppiaggio è “puro teatro dell’anima”, dove tutto passa dalla voce. Grande appassionata di fiabe, alle quali ha dedicato libri, ricerche e il film Il Giardino delle Fate, ha recitato in pellicole come Che bella giornata con Checco Zalone, A Capodanno tutti da me con Massimo Boldi e Faccio un salto all’Avana con Enrico Brignano e Pino Insegno. Con la sua Isabelle Adriani Academy trasmette ai giovani il valore della formazione, convinta che l’arte sia un cammino di crescita umana oltre che professionale.
Isabelle, lei spazia dalla recitazione al doppiaggio. Che differenze ci sono in questi due modi di fare arte?
Recitare davanti alla macchina da presa o sul palcoscenico è un’esperienza totale: puoi usare il corpo, lo sguardo, la tua energia personale. In teatro arriva direttamente al pubblico, mentre sul set si concentra in quel dettaglio sottile che può catturare lo spettatore anche con un solo sguardo. Il doppiaggio, invece, è un’arte completamente diversa e affascinante. Hai solo la voce.
Nessun movimento, nessuna espressione visibile: devi trasmettere tutto attraverso il suono e le vibrazioni. Ed è lì che si vede la bravura.
Non a caso, in Italia, abbiamo dei doppiatori bravissimi.
Esatto. I doppiatori italiani sono, a mio avviso, tra i più grandi attori del mondo. Ho avuto il privilegio di lavorare con veri maestri: Angelo Maggi, che ha recitato nel mio film Il Giardino delle Fate nel ruolo del protagonista anziano; Pino Insegno, con cui ho recitato in Faccio un salto all’Avana; Marco Guadagno, che è stato il mio maestro di doppiaggio ai tempi de L’Era Glaciale. Ricordo con affetto anche i momenti passati negli studi Disney: esperienze magnifiche. Il doppiaggio è una scuola formidabile, e credo che qualunque attore dovrebbe provarlo almeno una volta. Ti insegna l’essenza della recitazione: trasmettere tutto, con poco o niente. E questo è puro teatro dell’anima.
Visto che l’abbiamo citato, parliamo del suo film: Il Giardino delle Fate. So che le fiabe sono sempre state la sua passione più grande. Come si è avvicinata a questo mondo?
Le fiabe sono sempre state per me un rifugio e una guida. Fin da piccola, viaggiando da sola all’estero, erano il mio punto fermo. Cercavo di comportarmi come le protagoniste: dolci, forti, coraggiose, gentili. Le fiabe mi hanno insegnato come affrontare la vita, mi hanno dato una direzione e un codice etico. Trasmettono principi saldi e universali che oggi, purtroppo, molti social non riescono più a veicolare: le fiabe educano, mentre i social spesso confondono. Il mio amore per le fiabe è anche eredità di famiglia: mio padre fu allievo diretto di Carl Gustav Jung, che seguì tra Amsterdam e la Salpêtrière di Parigi. Fu lui a regalarmi uno dei testi più importanti della mia vita: Le fiabe di Marie-Louise von Franz, prima allieva di Jung. Da lì nacque tutto. Ho dedicato anni di ricerca allo studio della loro origine storica, fino a scrivere Il DNA della Fiaba, un’enciclopedia che è il cuore del mio lavoro.
So che le fiabe hanno avuto risonanza anche nella musica che realizza.
Proprio così. Ho cercato di tradurla nei miei album pubblicati su Spotify e Amazon, con brani come Once Upon a Time is Today - scritta, cantata e diretta da me nel videoclip - e The Magic of Love, colonna sonora del mio film Il Giardino delle Fate. La musica e le fiabe sono linguaggi universali. Se ogni bambino del mondo scoprisse che Cenerentola è tradotta in oltre 360 lingue, forse capirebbe che ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide. Le fiabe ci ricordano che siamo tutti parte della stessa grande storia, e la musica le accompagna, le amplifica, le fa volare. Quando si uniscono a cinema e immagine, diventano un messaggio potentissimo. Ed è questo il mio sogno: unire mondi attraverso il linguaggio del cuore.
Arriviamo ai suoi ultimi lavori come attrice. Nel film A Capodanno tutti da me con Massimo Boldi, che tipo di personaggio interpreta e cosa l’ha colpito della sceneggiatura?
In A Capodanno tutti da me interpreto la Contessa Isabelle, una donna francese sofisticata che, durante una cena di Capodanno piuttosto movimentata, si ritrova faccia a faccia con un grande amore del passato. La situazione, però, prende una piega esilarante: lui è diventato un bizzarro cameriere biondo, un po’ alla Peter Sellers in Hollywood Party. Oltre al ruolo recitato, ho avuto l’onore di contribuire anche alla colonna sonora del film, fischiando personalmente la melodia principale, grazie alla splendida collaborazione con il Maestro Pinuccio Pirazzoli, storico direttore d’orchestra di Sanremo. Un’esperienza unica, divertente e piena di musica.
Come ha costruito, invece, il ruolo della Barbie spagnola Helena in Due Famiglie e un Funerale?
Il ruolo di Helena è stato davvero speciale per me. Quando mi hanno chiamata per offrirmelo, mi hanno detto: “Isabelle, ti ricordi Mercedes, il tuo personaggio in Che bella giornata con Checco Zalone?” Naturalmente sì, era un ruolo piccolo che avevo amato molto… ma a quanto pare l’aveva amato anche il pubblico. Mi hanno detto: “Adesso vogliamo Mercedes per sempre!” Così ho creato per loro una sorella maggiore di Mercedes: la mia Helena. È una specie di Barbie spagnola, bellissima e sensuale come Jessica Rabbit, ma allo stesso tempo goffa e tenera come Bridget Jones. Il suo cuore, però, è quello di Biancaneve. Ho voluto darle anche una forza e una vitalità tipicamente andalusa: il fuego di Granada. Per prepararmi, ho risentito le canzoni tradizionali spagnole, ho studiato flamenco e ho ripassato il mio spagnolo - che di solito è molto argentino - per renderlo più autentico e locale. Helena è un personaggio esplosivo, colorato, umano, e profondamente divertente. L’ho amata moltissimo.
La sua formazione spazia tra New York Film Academy, Actor’s Studio e Royal Ballet: quanto hanno influito queste esperienze sulla carriera artistica?
Moltissimo. La mia formazione artistica è iniziata prestissimo: a soli otto anni studiavo mimo in Francia, e da allora ho frequentato scuole di musica e teatro ovunque mi trovassi. Da ragazza ho cantato in una scuola musicale legata al concetto di “scienza come arte” nella mia città, sotto la guida di una maestra del Teatro Sperimentale di Spoleto, un’eccellenza lirica italiana. Ho studiato con Roberto Biselli, grande maestro umbro che aveva lavorato anche con Mickey Rourke, e poi al CUT, il Centro Universitario Teatrale. In seguito, ho perfezionato la mia preparazione a livello internazionale: all’Actor’s Studio di New York, alla New York Film Academy di Los Angeles e al Royal Ballet di Londra, dove a 16 anni ho conseguito l’esame con menzione Highly Commended per il Senior Grade.
Si può dunque definire un’amante dello studio?
Proprio così. Ho sempre amato lo studio, la conoscenza in tutte le sue forme, soprattutto nell’ambito artistico e creativo. Sono mancina e ambidestra: scrivo da entrambi i lati, il che forse riflette anche una forte componente immaginativa e intuitiva. Essere figlia di un allievo diretto di Carl Gustav Jung ha certamente influito: mio padre mi ha insegnato moltissimo. Ho studiato i grandi metodi della recitazione - Strasberg, Stanislavskij, Meisner - cercando di integrarli in una visione completa dell’attore. Tutto ciò che ho imparato, ora lo restituisco con amore ai miei studenti dell’Isabelle Adriani Academy. Per me, la formazione è la chiave per diventare non solo un artista, ma un essere umano più consapevole.
Qui si è riferita all’Isabelle Adriani Academy, l’accademia che ha fondato e dirige. Quale visione vuole trasmettere ai suoi allievi?
Come dicevo, credo profondamente che lo studio e la formazione siano fondamentali. Non per rigidità, ma per dignità. Oggi purtroppo vedo molti che si improvvisano, magari senza malizia, ma è evidente che chi ha una preparazione solida affronta un set, un provino, o una lezione con una sicurezza completamente diversa. Io insegno ai miei ragazzi le regole che ho appreso nei grandi centri internazionali: per esempio, la regola del triangolo dell’Actor’s Studio - che raramente vedo applicata in Italia - oppure i principi di Meisner, l’approccio emotivo e rigoroso di Strasberg, la disciplina e la spontaneità unite. Studiare non significa perdere autenticità, anzi: ti permette di essere libero, perché hai strumenti. E quando conosci il mestiere, la memoria diventa più agile, l’interpretazione più profonda, e tutto diventa più semplice e professionale. Essere chiamati “professionisti” è un onore. E credo che sia giusto meritarselo.
Com’è nata l’idea dell’Academy?
L’idea dell’Academy è nata quasi per caso, durante il periodo del Covid, quando mi sono trasferita in Emilia-Romagna. Mi sentivo bloccata: per una persona come me, sempre in movimento, fu difficile stare ferma, anche se mi trovavo in un posto bellissimo come il castello di famiglia. Così iniziai con delle lezioni di beneficenza per ragazzi autistici, e da lì si è acceso qualcosa. La mia energia è tornata, e ho capito che era il momento giusto per trasmettere tutto quello che avevo imparato. La mia scuola si chiama i.a.academy, che sono le iniziali del mio nome. Anche se mio figlio, scherzando, ha pensato che fosse un’accademia sull’intelligenza artificiale! Ma in effetti, si ricorda facilmente. Oggi abbiamo decine di allievi, e ogni lezione è un dono reciproco. È un privilegio poter insegnare, crescere con loro, e continuare a vivere l’arte in tutte le sue forme.
Icona del cinema
a cura della redazione

Isabelle Adriani è un’artista eclettica che vive l’arte come un linguaggio universale: attrice, doppiatrice, cantante e scrittrice, ha sempre cercato di trasmettere emozioni attraverso voce, corpo e immaginazione. Per lei recitare significa donare energia e sguardo al pubblico, mentre il doppiaggio è “puro teatro dell’anima”, dove tutto passa dalla voce. Grande appassionata di fiabe, alle quali ha dedicato libri, ricerche e il film Il Giardino delle Fate, ha recitato in pellicole come Che bella giornata con Checco Zalone, A Capodanno tutti da me con Massimo Boldi e Faccio un salto all’Avana con Enrico Brignano e Pino Insegno. Con la sua Isabelle Adriani Academy trasmette ai giovani il valore della formazione, convinta che l’arte sia un cammino di crescita umana oltre che professionale.
Isabelle, lei spazia dalla recitazione al doppiaggio. Che differenze ci sono in questi due modi di fare arte?
Recitare davanti alla macchina da presa o sul palcoscenico è un’esperienza totale: puoi usare il corpo, lo sguardo, la tua energia personale. In teatro arriva direttamente al pubblico, mentre sul set si concentra in quel dettaglio sottile che può catturare lo spettatore anche con un solo sguardo. Il doppiaggio, invece, è un’arte completamente diversa e affascinante. Hai solo la voce.
Nessun movimento, nessuna espressione visibile: devi trasmettere tutto attraverso il suono e le vibrazioni. Ed è lì che si vede la bravura.
Non a caso, in Italia, abbiamo dei doppiatori bravissimi.
Esatto. I doppiatori italiani sono, a mio avviso, tra i più grandi attori del mondo. Ho avuto il privilegio di lavorare con veri maestri: Angelo Maggi, che ha recitato nel mio film Il Giardino delle Fate nel ruolo del protagonista anziano; Pino Insegno, con cui ho recitato in Faccio un salto all’Avana; Marco Guadagno, che è stato il mio maestro di doppiaggio ai tempi de L’Era Glaciale. Ricordo con affetto anche i momenti passati negli studi Disney: esperienze magnifiche. Il doppiaggio è una scuola formidabile, e credo che qualunque attore dovrebbe provarlo almeno una volta. Ti insegna l’essenza della recitazione: trasmettere tutto, con poco o niente. E questo è puro teatro dell’anima.
Visto che l’abbiamo citato, parliamo del suo film: Il Giardino delle Fate. So che le fiabe sono sempre state la sua passione più grande. Come si è avvicinata a questo mondo?

So che le fiabe hanno avuto risonanza anche nella musica che realizza.
Proprio così. Ho cercato di tradurla nei miei album pubblicati su Spotify e Amazon, con brani come Once Upon a Time is Today - scritta, cantata e diretta da me nel videoclip - e The Magic of Love, colonna sonora del mio film Il Giardino delle Fate. La musica e le fiabe sono linguaggi universali. Se ogni bambino del mondo scoprisse che Cenerentola è tradotta in oltre 360 lingue, forse capirebbe che ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide. Le fiabe ci ricordano che siamo tutti parte della stessa grande storia, e la musica le accompagna, le amplifica, le fa volare. Quando si uniscono a cinema e immagine, diventano un messaggio potentissimo. Ed è questo il mio sogno: unire mondi attraverso il linguaggio del cuore.
Arriviamo ai suoi ultimi lavori come attrice. Nel film A Capodanno tutti da me con Massimo Boldi, che tipo di personaggio interpreta e cosa l’ha colpito della sceneggiatura?
In A Capodanno tutti da me interpreto la Contessa Isabelle, una donna francese sofisticata che, durante una cena di Capodanno piuttosto movimentata, si ritrova faccia a faccia con un grande amore del passato. La situazione, però, prende una piega esilarante: lui è diventato un bizzarro cameriere biondo, un po’ alla Peter Sellers in Hollywood Party. Oltre al ruolo recitato, ho avuto l’onore di contribuire anche alla colonna sonora del film, fischiando personalmente la melodia principale, grazie alla splendida collaborazione con il Maestro Pinuccio Pirazzoli, storico direttore d’orchestra di Sanremo. Un’esperienza unica, divertente e piena di musica.
Come ha costruito, invece, il ruolo della Barbie spagnola Helena in Due Famiglie e un Funerale?
Il ruolo di Helena è stato davvero speciale per me. Quando mi hanno chiamata per offrirmelo, mi hanno detto: “Isabelle, ti ricordi Mercedes, il tuo personaggio in Che bella giornata con Checco Zalone?” Naturalmente sì, era un ruolo piccolo che avevo amato molto… ma a quanto pare l’aveva amato anche il pubblico. Mi hanno detto: “Adesso vogliamo Mercedes per sempre!” Così ho creato per loro una sorella maggiore di Mercedes: la mia Helena. È una specie di Barbie spagnola, bellissima e sensuale come Jessica Rabbit, ma allo stesso tempo goffa e tenera come Bridget Jones. Il suo cuore, però, è quello di Biancaneve. Ho voluto darle anche una forza e una vitalità tipicamente andalusa: il fuego di Granada. Per prepararmi, ho risentito le canzoni tradizionali spagnole, ho studiato flamenco e ho ripassato il mio spagnolo - che di solito è molto argentino - per renderlo più autentico e locale. Helena è un personaggio esplosivo, colorato, umano, e profondamente divertente. L’ho amata moltissimo.

Moltissimo. La mia formazione artistica è iniziata prestissimo: a soli otto anni studiavo mimo in Francia, e da allora ho frequentato scuole di musica e teatro ovunque mi trovassi. Da ragazza ho cantato in una scuola musicale legata al concetto di “scienza come arte” nella mia città, sotto la guida di una maestra del Teatro Sperimentale di Spoleto, un’eccellenza lirica italiana. Ho studiato con Roberto Biselli, grande maestro umbro che aveva lavorato anche con Mickey Rourke, e poi al CUT, il Centro Universitario Teatrale. In seguito, ho perfezionato la mia preparazione a livello internazionale: all’Actor’s Studio di New York, alla New York Film Academy di Los Angeles e al Royal Ballet di Londra, dove a 16 anni ho conseguito l’esame con menzione Highly Commended per il Senior Grade.
Si può dunque definire un’amante dello studio?
Proprio così. Ho sempre amato lo studio, la conoscenza in tutte le sue forme, soprattutto nell’ambito artistico e creativo. Sono mancina e ambidestra: scrivo da entrambi i lati, il che forse riflette anche una forte componente immaginativa e intuitiva. Essere figlia di un allievo diretto di Carl Gustav Jung ha certamente influito: mio padre mi ha insegnato moltissimo. Ho studiato i grandi metodi della recitazione - Strasberg, Stanislavskij, Meisner - cercando di integrarli in una visione completa dell’attore. Tutto ciò che ho imparato, ora lo restituisco con amore ai miei studenti dell’Isabelle Adriani Academy. Per me, la formazione è la chiave per diventare non solo un artista, ma un essere umano più consapevole.
Qui si è riferita all’Isabelle Adriani Academy, l’accademia che ha fondato e dirige. Quale visione vuole trasmettere ai suoi allievi?
Come dicevo, credo profondamente che lo studio e la formazione siano fondamentali. Non per rigidità, ma per dignità. Oggi purtroppo vedo molti che si improvvisano, magari senza malizia, ma è evidente che chi ha una preparazione solida affronta un set, un provino, o una lezione con una sicurezza completamente diversa. Io insegno ai miei ragazzi le regole che ho appreso nei grandi centri internazionali: per esempio, la regola del triangolo dell’Actor’s Studio - che raramente vedo applicata in Italia - oppure i principi di Meisner, l’approccio emotivo e rigoroso di Strasberg, la disciplina e la spontaneità unite. Studiare non significa perdere autenticità, anzi: ti permette di essere libero, perché hai strumenti. E quando conosci il mestiere, la memoria diventa più agile, l’interpretazione più profonda, e tutto diventa più semplice e professionale. Essere chiamati “professionisti” è un onore. E credo che sia giusto meritarselo.
Com’è nata l’idea dell’Academy?
